16 ottobre

Mi chiamo Henry Tupper e ho cinque anni e mezzo.
Oggi è il compleanno del mio papà, che fa quaranta anni, e la mamma ha deciso di organizzare una festa per lui. Siamo andati a fare la spesa – io, lei e mio fratello gemello Roger: abbiamo comprato tante cose da mangiare e gli ingredienti per fare una bella torta.
Io ho fatto un disegno che regalerò a papà. Anche Rog ha fatto un disegno, mamma invece ha comprato una camicia e ha fatto ricamare le iniziali di papà (che sono anche le mie) sulla pancia. Sono sicuro che a papà piaceranno tanto i nostri regali – gli piacciono sempre i regali che gli facciamo.
Mamma lavora a casa, quando io e Rog andiamo a scuola. Lavora al computer: corregge le storie che altre persone scrivono, e poi queste storie diventano dei libri che la gente compra in libreria. Anche mamma scrive delle storie: papà dice che dovrebbe metterle anche lei dentro un libro, perché sono sicuramente bellissime e avrebbero tanto successo, e lei guadagnerebbe tanti soldi. Ma lei non vuole: secondo lei sono solo stupidaggini e si vergogna di farli leggere persino a papà.
Papà invece è un meccanico. Ha un’officina tutta sua che porta il suo nome: le persone gli portano le macchine e le moto e lui le aggiusta per loro. Papà ha anche una moto tutta sua e ogni tanto ci porta a fare qualche giro. Ci vuole molto bene, a me e ad Rog. Quando non andiamo a scuola ci porta a lavoro con lui, nella sua officina, e ci fa vedere come funzionano i pezzi delle macchine e delle moto. Dice che quando ci faremo grandi diventeremo dei piloti e guideremo la moto come lui, ma per adesso siamo solo i suoi assistenti: nell’officina io ho il mio armadietto, con la tuta da lavoro e gli attrezzi, e anche Rog ha il suo armadietto con queste cose.
Vuole molto bene anche alla mamma, infatti le fa sempre tanti regali e ogni volta che esce di casa la bacia sulla bocca. Papà dice che nella pancia di mamma c’è una principessa come lei, e che appena si farà un po’ più grande uscirà e verrà a vivere a casa nostra. Dice che io e Rog la dobbiamo trattare benissimo, meglio di come trattiamo la mamma.

Alla festa verranno zio Luke e zia Mara, che vivono in un paese qui vicino. Anche nella pancia di zia Mara c’è un bambino, ma non sappiamo ancora se è maschio o femmina. O forse ci sono due bambini uguali, come me e Rog. Anche mamma e zio Luke stavano insieme nella pancia della nonna, ma loro non si assomigliano così tanto come me e Rog.
Ovviamente verrà anche zia Cynthia. Zia Cynthia non è veramente nostra zia: non è la sorella di mamma né di papà, ma vuole che noi la chiamiamo zia lo stesso. Ogni volta che viene a trovarci ci porta qualche bella cosa, e la mamma si arrabbia con lei e la strilla, perché dice che così diventeremo viziati. Non so cosa vuol dire essere viziati, ma a me piace che zia Cynthia ci porti sempre dei regali.
La nonna, la mamma di papà, sicuramente non verrà: la invitiamo sempre a casa ma lei non viene mai, perché dice che abitiamo troppo lontano e non ha la macchina per venire a trovarci. Qualche volta andiamo a casa sua, dove abitava papà quando era bambino: è sempre felice di vederci e ci regala biscotti e leccalecca.
Forse alla festa viene anche il signor Howard. Lui e papà sono amici da quando erano piccoli, perché vivevano nello stesso paese. Adesso vive in una casa grandissima con un giardino enorme ed è il padrone di un ristorante. Papà dice che ha un sacco di soldi, ora che è diventato un uomo d’affari. Il signor Howard vive con la signora Tendra: anche lei è un’amica di papà. Non ci sono bambini nella loro casa, ma c’è un cane bellissimo, con cui io e Rog giochiamo sempre ogni volta che andiamo a trovarlo.
Sono sicuro che stasera ci divertiremo un sacco.


Salutati tutti gli ospiti e messi a dormire i gemellini, andiamo a letto e facciamo l’amore. Va bene la festa con i bambini e gli amici, ma è pur sempre il mio compleanno e mi andava di festeggiare anche a modo nostro. Il fatto che il sesso sia diventato un’abitudine, una routine, non vuol dire che abbia perso la sua sacralità: questo atto resta sempre qualcosa di mistico, un rito che suggella e rinnova ogni volta il nostro amore.
Quando vidi Rachel per la prima volta, mai avrei sospettato che dietro quell’apparenza così innocente potesse nascondersi una donna estremamente sexy e un’amante tanto appassionata: se all’inizio era timida e impacciata a letto, ha imparato ben presto a far capire quello che vuole e che le piace, e a soddisfare allo stesso tempo ogni mio desiderio. Fare l’amore con lei è un’esperienza che non mi sarei mai immaginato di poter provare, e più va avanti meglio è. Non ci sono gli imbarazzi delle prime volte, di quando lei era ancora inesperta e io invece di esperienza ne avevo fin troppa: col tempo abbiamo imparato a conoscerci, a capire e soddisfare i reciproci desideri.
Ovviamente c’è da dire che non è più semplicemente la mia amante, come all’inizio, ma è molto di più: è mia moglie, la compagna della mia vita, la madre dei miei figli…tutto questo non ha fatto altro che unirci ancora di più, indissolubilmente. La fascetta di metallo che porto al dito mi ricorda in ogni momento del giuramento che le ho fatto, l’unico giuramento fatto in vita mia che intendo rispettare finché avrò aria nei polmoni: avrei potuto giurare davanti a un prete come davanti alla corte marziale che la amo con tutto me stesso, non avrebbe fatto differenza.
Sarei un bugiardo a dire che questa è la vita che sognavo quando ero ragazzo: sposarmi, avere dei bambini, vivere una vita tranquilla…questi certamente non rientravano nei miei progetti di gioventù. Ma sono cambiato da allora – e parecchio: questa nuova vita mi piace più di qualsiasi cosa avrei potuto mai immaginare. Se qualcuno dieci anni fa mi avesse predetto questo futuro, lo avrei mandato certamente al diavolo, ma mi sarei perso lo sguardo curioso di Henry quando gli faccio vedere come funziona un motore, o le manine di Roger tutte sporche di grasso nero. Ma, soprattutto, mi sarei perso lo spettacolo di vedere la luna riflessa negli occhi dell’unica donna che abbia mai amato.

Da quando è incinta, poi, Rachel è diventata se possibile ancora più bella: c’è qualcosa nel suo essere mamma che le addolcisce i lineamenti, le ammorbidisce le curve – e non intendo solo la pancia. È stato così anche per l’altra gravidanza, ma stavolta di più. Forse perché è femmina. Quello che mi piace fare è accarezzarle dolcemente il ventre gonfio, e sentire la nostra bambina muoversi dentro di lei. Potrei restare a farlo per ore senza stufarmi mai.
Con la punta delle dita sfioro la mia iniziale incisa in modo indelebile sulla sua pelle chiara, nello stesso punto del corpo dove io ho marchiata la sua. Questo piccolo tatuaggio ce lo siamo fatti la scorsa estate, poco prima che lei scoprisse di essere incinta, per festeggiare i nostri primi dieci anni insieme. In realtà è stata un’idea del sottoscritto: ho dovuto fare un po’ di opera di persuasione per convincerla, ma alla fine ha ceduto.
E se un giorno ci lasceremo? ha obiettato. Questi cosi sono abbastanza difficili da cancellare.
Perché dovremmo lasciarci? le ho chiesto. Ero abbastanza sicuro che stesse scherzando, ciononostante ho voluto chiederglielo lo stesso.
Non lo so…se un giorno litigassimo in modo irreparabile, magari su qualcosa che riguarda i nostri figli, e tu decidessi di andare via di casa? Oppure se io subissi il corteggiamento di un uomo facoltoso e si lasciassi, stregata dal suo incredibile fascino?
D’accordo piccola
, le ho concesso. Ammettiamo che sia possibile. Questo non cambierebbe quello che provo per te ora. Potremmo lasciarci e non rivederci mai più, ma resterebbe il fatto che ti amo. Ho amato solo te e ti amerò per sempre, nonostante quello che succederà fra di noi. Mi hai capito?
Ha annuito, forse toccata dalla sincerità delle mie parole.
E niente, niente di quello che succederà potrà mai cambiare quello che provo per te.
Lei mi ha salvato, mi ha reso una persona migliore, ha fatto di me un marito e un padre – due cose di cui non mi sarei mai creduto capace. Questo tatuaggio rappresenta il segno di un traguardo raggiunto e il preludio, spero, di una lunga vita ancora insieme. Abbiamo scelto un posticino che fosse sempre nascosto dai vestiti, protetto da sguardi impiccioni che non capirebbero la profondità del sentimento dietro questo segno e lo giudicherebbero come una ragazzata senza senso. È una cosa privata, che solo noi due sappiamo: io sono suo, come lei è mia.

“Mamma!” sentiamo chiamare da fuori alla porta socchiusa.
Rachel mi guarda e mi sorride paziente. “Entra, amore.”
Roger apre piano piano la porta, con i piedini scalzi e l’orsacchiotto sotto braccio. “Devo fare la pipì” dice.
Guardo Rachel che era già intenzionata ad alzarsi. La blocco con un braccio, le lascio un bacio fra i capelli e mi alzo, facendo attenzione a non spostare troppo le coperte per non farle prendere freddo.
Non riesco a capacitarmi di aver creato degli esserini così simili a me, con i miei stessi capelli, con il mio stesso colore degli occhi. Più guardo Rog seduto sul gabinetto, con le gambe che dondolano e i piedi che non arrivano a terra, e più mi domando cosa ho fatto per meritarmi un miracolo del genere.
“Papà?”
“Che c’è, piccolo?”
“Ti è piaciuta la festa che abbiamo organizzato?”
Mi piego sulle ginocchia per essere al suo livello e gli sorrido. “Certo che mi è piaciuta.”
“E ti è piaciuto il disegno che ti ho fatto?”
“Mi è piaciuto tantissimo” gli assicuro. “Domani me lo porto in officina e lo attacco nella bacheca, va bene?”
Annuisce contento. “Ti voglio bene, papà.”
“Ti voglio bene anch’io, tesoro.”
Quando usciamo dal bagno fa per entrare nella sua cameretta, ma lo fermo. “Non vai a salutare tua madre?”
Corre nella nostra stanza e si butta sul letto, dove Rachel lo abbraccia forte e lo riempie di baci. Si sussurrano qualcosa all’orecchio, qualcosa che non riesco a sentire, poi scende e mi segue nella sua cameretta. Quando gli rimbocco le coperte ha già gli occhi chiusi.


Lo trovo dove mi aspettavo che fosse, davanti alla finestra aperta, con la sigaretta fra le dita. Da quando sono rimasta incinta la prima volta, Hans ha rinunciato quasi del tutto al vizio del fumo, eppure di tanto in tanto ancora si concede qualche sigaretta, specie quando vuole riflettere e starsene un po’ per i fatti suoi.
“C’è qualcosa che non va?” gli chiedo. Mi allaccio la vestaglia attorno alla vita e mi avvicino a lui.
Si volta a guardarmi, la sigaretta già ridotta a un mozzicone. “Pensavo.”
Annuisco e mi faccio più vicina. Ci abbracciamo in silenzio, mentre la fresca brezza di metà ottobre ci accarezza. Mi mancava l’odore di tabacco sulla sua pelle e sui suoi vestiti…mi ricorda dei primi tempi, di quando eravamo giovani, del suo giubbino di pelle impregnato di fumo e del pacchetto di Marlboro perennemente nella sua tasca. Dio, quanto tempo è passato da allora.
“A volte mi chiedo cosa avrei fatto se non avessi scelto questa vita, cosa sarebbe successo se non avessi conosciuto te” dice a un tratto.
“E perché te lo chiedi?”
“Ho parlato con mia madre oggi pomeriggio. Mi ha detto che da me si sarebbe aspettata qualsiasi cosa, tranne che diventassi un padre di famiglia…che mettessi la testa a posto.”
“Sei felice di come sia andata a finire?” gli chiedo. “Di me, dei ragazzi, della vita che ti sei costruito?”
Annuisce meditabondo.
“Neanche io avrei immaginato che questa sarebbe stata la mia vita dieci anni fa” dico. “Il mio sogno era fare l’ambasciatrice. Volevo girare il mondo, essere libera…non fare la vita della casalinga.” Non avrei mai creduto che un giorno mi sarei sposata, e so che neanche lui ci aveva mai pensato prima di conoscere me. Il nostro incontro – o, meglio, scontro – ha modificato per sempre le traiettorie delle nostre vite, spingendoci a fare cose di cui non ci saremmo creduti mai capaci. Mi sono sposata a ventiquattro anni, appena dopo la laurea, perché improvvisamente era la cosa che desideravo di più al mondo: volevo stare con lui per sempre, giurare di amarlo e di rispettarlo con tutta me stessa, costruire il mio futuro insieme a lui.
I soldi che i miei genitori avevano messo da parte per il mio matrimonio sono serviti ad un investimento secondo me assai più fruttuoso della cerimonia in grande stile che loro avrebbero desiderato per me: non ho comprato un vestito principesco, non abbiamo dato un ricevimento con mille invitati, ma abbiamo costruito un sogno – il sogno di Hans, quello di aprirsi un’officina. Inutile dire che è stata dura fargli accettare quei soldi per la sua officina: erano soldi miei, e lui voleva che io fossi felice realizzando il matrimonio dei miei sogni.
Ma il mio sogno più grande si è realizzato nel momento in cui ho visto le lacrime di gioia nei suoi occhi alla firma del contratto di acquisto del locale che sarebbe poi diventato il suo laboratorio meccanico.
“Quando siamo giovani abbiamo grandi aspettative, che quasi mai finiscono per realizzarsi” gli dico.
“Mi stai dicendo che ti sei pentita delle scelte che hai fatto?”
“No, sto solo dicendo che le cose non vanno mai come ci aspettiamo. Ma spesso ci sorprendono, in meglio.”
Butta via la cicca e mi stringe forte a sé. “Tu sei il più bel regalo che la vita potesse farmi, tu e i nostri figli…non sono scontento di quello che ho adesso e non lo sarò mai. Spero solo di essere un buon marito, e un buon padre.”
“Sei un padre fantastico, Hans…i ragazzi ti adorano!” Lo accarezzo dolcemente sulla guancia. “A volte sono gelosa di te, del rapporto che hai con loro” ammetto. Il modo in cui Hans è legato ai nostri figli non manca mai di stupirmi. All’inizio era letteralmente terrorizzato dall’idea di essere padre, per quanto lo avesse desiderato con tutto il cuore: sono capitate volte in cui il panico lo ha assalito, perché non sapeva come comportarsi, cosa fare, se fosse troppo severo o al contrario troppo accomodante…come biasimarlo, lui che un padre non lo ha mai avuto – i segni delle cinghiate ricevute da piccolo sono ancora impressi sulla sua schiena e resteranno per sempre a monito di tutto quello che ha dovuto subire.
I gemelli gli assomigliano parecchio, Roger specialmente: stessa tendenza all’imbroglio (un problema serio, specie ora che ha iniziato ad andare a scuola), stesso piglio arrogante, stessa intolleranza alle regole, stessa faccia da schiaffi…c’era da aspettarselo, del resto la trasmissione genetica dei caratteri non è una fantasia. Hans si è guadagnato la loro stima e il loro amore incondizionato di bambini non essendo il padre perfetto, ma nonostante tutti i suoi difetti, e questa è la più grande sorpresa che ha saputo farmi. Il suo volto si rabbuia per un momento. “Loro vogliono molto bene anche a te, lo sai.”
“Lo so. Però tu sei come un modello da imitare per loro, un mito. Ti stimano molto, più di quanto tu stimi te stesso.”
Per qualche momento restiamo in silenzio, stretti l’uno all’altra.
“Ti amo” mormora fra i miei capelli. “Grazie per aver reso possibile l’impossibile.”


Questo è un racconto che scrissi qualche anno fa e che originariamente pubblicai con un nickname su un forum di scrittori dilettanti.
P.S.: Il 16 ottobre è il giorno del mio compleanno.

Iscriviti alla mia newsletter per ricevere ogni mese un racconto in anteprima da scaricare gratuitamente.

Torna alla pagina dei racconti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *