Il cappotto rosso

Il commissario Christopher Hopper diede un altro morso al tramezzino che aveva appena cacciato dalla tasca del suo impermeabile scuro. Erano quasi le sette di sera e non aveva neanche pranzato, visto che aveva passato l’intera giornata in tribunale per la testimonianza al processo contro il capo procuratore Harvey. Si pulì la bocca con la manica della giacca, lasciando un corposo alone di maionese che avrebbe fatto dannare la sua domestica, e si avvicinò alla scena del delitto.
“Cosa abbiamo qui?” chiese al medico legale, Joe Fisher, già chino sul corpo ormai senza vita di una donna.
“Donna, fra i quarantacinque e i cinquanta, morta al massimo da un paio d’ore.”
“Causa del decesso?”
“A occhio e croce ti direi che è morta dissanguata, ma non riesco a trovare ferite – così su due piedi.”
Hopper annuì, meditabondo. “Sappiamo chi era?”
“Non le abbiamo trovato documenti addosso, né cellulare o portafogli” intervenne l’agente Lamarca. “La borsa conteneva solo uno specchietto, un lucidalabbra e qualche scontrino.”
“Pensi che possa essere stata rapinata?”
“Non credo, signore” disse ancora Lamarca. “Indossa ancora tutti i gioielli.”
Hopper sbuffò, stizzito. “D’accordo. Allora abbiamo una bella donna senza nome e senza documenti, vestita come un’escort d’alto bordo, di cui non conosciamo neanche la causa della morte.” La cosa era più complicata del previsto, e lui aveva solo mal di testa e una gran voglia di andare a casa. Mise via il panino, incartandolo alla men peggio e ficcandolo di nuovo nella tasca, e si chinò a sua volta sul cadavere.
La donna era piuttosto bella, curatissima, ma non truccata. Un costoso cappotto rosso avvolgeva un abito nero minimale, che a stento copriva quello che doveva coprire, e un paio di lunghe cosce avvolte da calze a rete. Le scarpe con il tacco a spillo, vertiginoso, sembravano nuove, come se non avessero mai camminato – le suole erano perfettamente pulite, come se la morta le avesse indossate dopo essere diventata cadavere.
Guardandola più da vicino, Hopper si accorse di piccole macchioline rosse simili a grumi di sangue che costellavano le labbra e la lingua della donna. Il naso era leggermente sporco di sangue e il colorito era pallido e quasi grigiastro – bizzarro anche per un cadavere.
Il commissario richiamò l’attenzione del medico legale su quei dettagli insoliti. “Guarda queste macchie rosse sulla bocca e il sanguinamento dal naso…pensi possa essere stata avvelenata?”
“Non lo escludo, anche se è un po’ strano come avvelenamento – non ho idea di quale veleno possa avere questi effetti.”
A dirla tutta, neanche a lui veniva in mente una qualche sostanza che provocava sanguinamento e macchie di quel genere, ma non si poteva escludere nessuna pista. “Io me ne vado a casa. Domani mattina voglio sulla mia scrivania foto, rilievi e compagnia bella” minacciò l’agente Lamarca.
“Vuole che mandiamo una fotografia della vittima ai notiziari locali, signore? Qualcuno potrebbe aiutarci facendo una segnalazione.”
“Lascia perdere” sbuffò Hopper. “Una così – non credo che qualcuno avrebbe voglia di raccontare quello che è successo.”


L’indomani mattina, dopo una notte passata insonne – come era consuetudine, da un po’ di tempo a quella parte – il commissario Hopper prese ad analizzare il fascicolo sulla donna trovata morta. Magari era effettivamente una puttana, aveva avuto un alterco con un facoltoso cliente o con il suo pappone e ci aveva rimesso la pelle. Niente di strano, in una città violenta come Albany.
“Secondo me è tutta una messinscena” disse una voce di donna, facendo capolino nei suoi pensieri e interrompendo le sue riflessioni. Era Cindy, la nuova stagista. Assegnata in prova alla centrale, era lì da un paio di mesi soltanto. Era brava, aveva un certo fiuto per le indagini, ma aveva il brutto vizio di entrare nel suo ufficio senza bussare e di ignorare ogni tipo di regolamento e di buone maniere.
Hopper sollevò appena il naso dal fascicolo, abituato a quelle sue interruzioni ma non per questo meno infastidito. “Cosa te lo fa pensare?”
“Non era truccata, capo. E una bella donna come lei, vestita in quel modo…che fa, non si mette in tiro anche con un bel maquillage?”
“Magari aveva qualche allergia, che ne so.”
“No, perché nella sua borsa qualche trucco c’era.” Senza essere stata invitata a farlo, si sedette sulla sbilenca seggiola di fronte alla scrivania, accavallando maliziosamente le gambe. “Ti dico l’idea che mi sono fatta. Qualcuno deve averla uccisa in un posto che non è quello in cui l’abbiamo trovata, poi l’ha vestita così e ha abbandonato il cadavere.”
“E ti sei fatta un’idea anche sul perché di un tale incomodo?”
“Beh, no…magari i vestiti erano sporchi di qualcosa che ci avrebbe portati dritti al luogo del delitto, o all’assassino. Per questo sono stati eliminati e sostituiti con abiti nuovi – il cappotto aveva addirittura l’etichetta con il prezzo ancora attaccata. E poi, ti sarai accorto anche tu che le scarpe erano praticamente nuove, no?”
“Sì, me n’ero accorto anche io.”
“Questo conferma la mia teoria” proseguì Cindy entusiasta. Per lei ogni indagine era come un gioco, un rompicapo divertente a cui trovare soluzione. Era ancora troppo giovane per essersi già stufata di quel mestiere.
Hopper stava per risponderle per le rime, quando fu interrotto dal trillo del telefono.
Teleangectasia emorragica ereditaria” scandì il dottor Fisher all’altro capo della comunicazione.
“Cosa?”
“La sconosciuta era malata, non è stata avvelenata.”
“Ne sei certo?”
“Più che certo. Il sangue dal naso, le piccole macchie sulle labbra e sulla lingua, il colorito pallido – tutto faceva pensare ad un avvelenamento, eppure il tossicologico è uscito negativo. Tra l’altro, la nostra amica aveva le pareti interne delle narici molto danneggiate, non poteva essere l’effetto di un’unica somministrazione di veleno – doveva per forza essere sintomo di una situazione pregressa. E così ho chiesto un consulto ad un mio amico otorino, che mi ha illuminato.”
“Quindi questi sarebbero tutti sintomi di questa malattia?” fece il commissario.
“Esattamente.”
“E come ci può interessare questo?”
“La teleangectasia è una malattia rara, magari c’è un registro dei malati o qualche associazione che se ne occupa, qui a Albany o a livello nazionale…non lo so, sei tu lo sbirro. Perché non fai un controllino? Se era iscritta in uno di questi registri, magari possiamo darle un nome e un cognome.”
“Bella idea dottore, ti devo una birra.”
“Dovere, capo.”
“Pensi che la vittima sia morta a causa di questa malattia…come hai detto che si chiama?”
Te-le-an-ge-cta-sia” ripeté il dottor Fisher, scandendo bene ogni sillaba come se stesse parlando a un bambino di tre anni. “E no, non è morta per questo. Confermo l’ipotesi di dissanguamento. Aveva una bella ferita al torace, proprio sotto il seno sinistro.”
“Ma non c’erano tracce di sangue sui vestiti che aveva addosso.”
“E che devo dirti…l’avranno lavata bene e le avranno cambiato i vestiti. Anche la ferita era pulita in effetti.”
Hopper annuì a se stesso, meditabondo. Davanti a lui, Cindy batté le mani in modo febbrile – le parole del dottore le davano ragione.
“Arma del delitto?”
“Un’arma da taglio poco affilata, tipo un coltello da torta o un tagliacarte. La ferita è stata inflitta con molta forza proprio perché l’arma non era molto tagliente.”
Stai suggerendo che l’aggressore era un uomo?”
“O una donna molto arrabbiata – non sai di cosa sono capaci quelle quando sono incazzate.”
“Lo so eccome, invece” replicò Hopper. La sua mente si rivolse brevemente alla sua ex moglie, quella faina alla quale pagava pure agli alimenti, forse una delle donne più incazzate che avesse mai incontrato in tutta la sua vita.


Hopper aveva sempre evitato gli ospedali come la peste, e ogni volta che doveva andarci per forza era un colpo allo stomaco. Doveva essere stato perché, quando era solo un bambino, negli ospedali ci aveva passato mesi – a causa di suo fratello Paul, e delle mille cure a cui i genitori lo avevano sottoposto dopo che gli era stato diagnosticato un raro tumore al cervello. Poi Paul era morto, sua madre era caduta in depressione e lui aveva giurato a se stesso che non sarebbe mai più entrato in un ospedale in vita sua. Questo fino a che non era diventato un poliziotto: negli anni la sua carriera lo aveva portato spesso in quei luoghi di malattia e tristezza.

Ad ogni modo, la sua visita all’Albany Memorial fu utile e proficua. Avrebbe potuto mandarci Cindy – in fondo doveva chiedere solo se avessero un elenco di tutti i cittadini affetti da quell’assurda malattia dal nome impronunciabile – ma aveva preferito occuparsene personalmente. Temeva che la ragazza potesse combinare qualche casino, e non aveva ancora fiducia a mandarla in giro da sola.
Aveva parlato con l’avvenente infermiera dal seno prosperoso che si trovava all’ingresso del pronto soccorso e a lei aveva chiesto informazioni sul trattamento della teleangectasia (aveva dovuto scriversi il nome sul foglietto per non rischiare di fare brutta figura) all’interno della struttura. La risposta della donna – Sarah, stando all’etichetta appuntata proprio a margine della profonda scollatura – fu entusiasta: la direzione del Memorial aveva addirittura aperto un reparto ad hoc per studiare quella malattia rara e per condurre ricerche su pazienti che si offrivano volontari per la sperimentazione di nuove cure.
“Potrei avere una lista di tutti quelli che partecipano al programma?” aveva chiesto il commissario, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi. Avrebbe potuto portarsela a letto, una pupa come quella. Avrebbe potuto segnarsi il suo numero di telefono e invitarla a bere una cosa dopo il lavoro, tanto per cominciare a rompere il ghiaccio.
“Certamente, commissario. Ma credo che siano necessari almeno un paio di giorni – devo inoltrare una richiesta formale al direttore del reparto per avere accesso alla documentazione.”
“Non potrebbe…non lo so, accelerare un po’ i tempi? Sarebbe estremamente importante per la mia indagine. Sa com’è, ho un cadavere senza nome e senza assassino che aspetta sul tavolo dell’obitorio.”
Sarah sorrise, comprensiva, e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Se ha la pazienza di aspettare qualche minuto qui, posso salire in reparto e provare a parlare con il direttore.”

Mezz’ora più tardi, la lista dei pazienti iscritti al programma Rari, ma non soli con la teleangectasia era finalmente nelle mani del commissario – insieme ad un post-it rosa con appuntato il numero di cellulare della bella infermiera dell’Albany Memorial. Senza nemmeno aspettare di andare in ufficio, Hopper si sedette su una panchina nel cortile interno dell’ospedale, fra le ambulanze che passavano con la sirena accesa, e aprì il fascicolo.
I pazienti, come prevedibile, non erano numerosi – malgrado l’elenco raccogliesse tutti i malati della contea. Lo sguardo attento del commissario cadde su un nome in particolare: Laura Morrison, 47 anni, nata a New York e residente ad Albany; un indirizzo e un numero di cellulare completavano la scheda biografica. Non c’era una fotografia, ma quello era l’unico nome della lista a corrispondere, per sesso e per età, alla vittima sconosciuta. Non restava altro, quindi, che recarsi all’indirizzo indicato nel fascicolo e sperare di trovare una corrispondenza con la donna trovata morta.


Prima di recarsi a casa della signora Morrison, Hopper passò dal commissariato a prendere Cindy per portarla con sé. Anche se il più delle volte combinava pasticci sulle scene dei crimini, era in grado di vedere dettagli che a lui puntualmente sfuggivano e sapeva anche fare delle foto decenti. Gli era utile, dopotutto, con le sue strambe intuizioni che molto spesso però si rivelavano fondate. Finché l’aveva a disposizione, meglio sfruttarla il più possibile – il suo tirocinio sarebbe durato soltanto altri due mesi, prima che la centrale l’assegnasse definitivamente ad un distretto, non per forza il suo.

All’indirizzo segnato sulla cartella ospedaliera corrispondeva uno stabile signorile alla periferia di Albany, non lontano dalla stazione ferroviaria. Alla portiera, una vecchina dal sorriso sdentato irrimediabilmente deformata dall’artrosi, il commissario mostrò il distintivo e una foto della vittima scattata all’obitorio, per vedere se fosse effettivamente l’inquilina dell’ultimo piano.
“Una signora tanto garbata e perbene” commentò la vecchia guardando la foto con tristezza. “Una brava donna.”
“Viveva da sola?” chiese il commissario.
“Diciamo di sì. Ma ogni tanto qualche amico veniva a trovarla.”
“Sempre lo stesso amico?”
“No, non era sempre lo stesso. Quasi mai un uomo si vedeva più di una volta o due. Ma queste non erano faccende di mia competenza” chiuse evasiva la donna, mentre li accompagnava all’ascensore.

La porta d’ingresso dell’appartamento di Laura Morrison dava su un arioso salotto, illuminato da una grande vetrata. Hopper lasciò vagare un momento lo sguardo su ciò che aveva di fronte, cercando di collegare quel mobilio, quegli arredi, alla donna che avevano trovato cadavere.
“Io do un’occhiata in giro, capo” disse Cindy, già sparita in un’altra stanza.
“D’accordo, ma non toccare niente. E chiamami appena vedi qualcosa di interessante.”
“Ehi, mi prendi ancora per una pivellina?”
Ignorando il commento risentito della sua giovane collega, Hopper iniziò a perlustrare la stanza, soffermandosi ora sui libri sistemati ordinatamente sugli scaffali, ora sulla pila di riviste accatastate sul tavolino accanto al divano bianco, ora sulle fotografie appese alle pareti. Molte di esse ritraevano la vittima da sola o in compagnia di gruppi di amici. Foto che la mostravano spensierata, rilassata, ma che non fornivano indizi su chi fosse né su cosa facesse nella vita. Del resto se davvero era una escort, come aveva ipotizzato, non lo sbandierava certo ai quattro venti.
“Era una giornalista!” gridò Cindy aldilà della parete. “Guarda qua cosa ho trovato.” Tornò nel salotto saltellando, stringendo tra le mani una targa celebrativa. Almeno aveva indossato i guanti.
Lesse ad alta voce. “A Laura Morrison, per l’impegno costante profuso alla strenua ricerca della verità, sempre pronta a batterla nero su bianco con la sua inossidabile Remington. Con affetto e stima, i colleghi della redazione.”
Hopper si avvicinò, indossando a sua volta il paio di guanti che aveva nella tasca della giacca. “Fammi dare un’occhiata.” La targa portava il logo del Times of Albany. “E così la nostra sconosciuta scriveva sul giornale della città…ci eravamo sbagliati sul suo conto.”
“Tu ti eri sbagliato!” sbottò Cindy sorridendo e tornando nella stanza da dove era emersa per continuare l’ispezione. “Io te lo avevo detto che era tutta una messinscena, che quei vestiti non erano i suoi – non credo che una giornalista d’inchiesta se ne vada in giro vestita da prostituta.”
Hopper si sfregò più volte le mani, pensoso. Gli stava sfuggendo qualcosa, ma non riusciva a capire cosa. Aveva davanti una giornalista uccisa con foga, lavata e rivestita come un’escort, abbandonata in strada come un sacco della spazzatura…cosa voleva dire tutto questo? Chi c’era dietro quel delitto apparentemente privo di senso?
Improvvisamente, un rumore indistinto allertò i suoi sensi. “Cindy, sei tu?”
“A fare cosa?” gli fece eco la ragazza, che nel frattempo stava dando una controllatina anche al bagno.
“Ad aver fatto quel rumore.”
“Quale rumore?”
Il rumore si ripeté, più netto e forte stavolta, e proveniva da dietro la porta chiusa alle spalle del commissario. Hopper si voltò di scatto, la mano che scivolò d’istinto alla fondina della pistola d’ordinanza. “Chi è là?”
Anche Cindy aveva smesso di muoversi e tratteneva il fiato, in attesa.
Con un ultimo balzo, il gatto che era rimasto chiuso in cucina era riuscito ad aggrapparsi alla maniglia della porta e ad aprirla, trovandosi davanti la pistola del commissario, pronta a sparare. Hopper lasciò andare un sospiro che non si era accorto di stare trattenendo mentre il micio, spaventatissimo per quell’intrusione nel suo territorio, andò a nascondersi dietro il divano.
“Non avrai mica paura di un micetto, Hopper?” Cindy aveva fatto presto a riprendersi dallo spavento, quel tanto che bastava per schernire il commissario. Provò a far uscire il gatto dal suo angusto nascondiglio, ma le fu impossibile. In compenso però, l’occhio della ragazza cadde su un dettaglio che, fino a quel momento, né lei né Hopper avevano ancora notato.
“Guarda lì!” indicò un vistoso orecchino con una pietra di ametista appoggiato al centro del tavolino.
“È un orecchino, perché ti sconvolge tanto?”
“È un orecchino con la clip, usato da chi non ha i lobi forati. La vittima aveva i buchi alle orecchie, e tutti i suoi orecchini sono con la vite.”
Con un sospiro rassegnato, Hopper lo prese con le mani guantate e lo sistemò in un sacchetto, per farlo analizzare. “Se non è suo potrebbe essere dell’assassino – non credo che la vittima lo avrebbe lasciato qui per giorni, se avesse avuto la possibilità di restituirlo al legittimo proprietario.”
“Esatto, commissario. Ah, e c’è un’altra cosa che ho notato di là. Vieni a vedere.”

Hopper la seguì nel piccolo bagno. Diede un’occhiata in giro. Decine di boccette di unguenti e saponi erano disposte ordinatamente sulla mensoletta sotto allo specchio. A terra, vicino al gabinetto, vecchi numeri di Vogue erano stati accatastati in modo disordinato. Le foglie di una pianta di pothos si affacciavano dal ripiano in alto sopra la vasca da bagno, dando l’impressione di essere in un giardino. Nel bicchiere sul lavandino, malgrado le frequentazioni notturne della vittima, era infilato un unico spazzolino. “Cosa dovrei vedere esattamente?”
Cindy indicò col dito l’angolo retto fra la parete di piastrelle color acquamarina e il bordo della vasca, senza proferire parola. C’era una minuscola goccia di sangue.
“Pensi possa essere stata uccisa nella vasca da bagno?” le chiese Hopper.
“Potrebbe. Se non è stata uccisa, almeno è stata lavata qui. L’assassino poi deve aver pulito tutto per bene. Ma ha lasciato questa goccina” commentò cantilenando.
“Oppure” la interruppe Hopper. Adorava il broncio che faceva quando lui la contraddiceva. “Oppure la vittima si è tagliata con il rasoio mentre si depilava le gambe, e una goccia è schizzata laggiù.”
“Ma si può sapere perché non vuoi semplicemente ammettere che ho sempre ragione?!”
Hopper rise di gusto, una di quelle risate che facevano imbestialire Cindy. “Perché io sono il commissario, piccola, e tu sei solo una stagista – ecco perché. Comunque” concesse “ora faccio venire i ragazzi per i rilievi, sei contenta? Così, se il cadavere è stato lavato qui, potranno darcene conferma…le tracce di sangue saranno visibili anche se in apparenza sono state eliminate.”

Intanto il gatto, ripresosi dallo spavento, era entrato nel bagno a far loro compagnia e si era appollaiato sopra la lavatrice, per godersi lo spettacolo di quegli umani sconosciuti che bisticciavano come due mocciosi. Miagolò, per far sentire la sua presenza, e si stiracchiò elegantemente inarcando la schiena fino all’inverosimile.
“Amore, vieni qui” pigolò Cindy. “Scusa per il mio capo, ma è un po’ stronzetto…che ci vuoi fare.” Prese l’animale in braccio, mostrando una certa esperienza che non sfuggì all’occhio attento del commissario. “Ma è una femmina!” esclamò. “Guarda, ha le tettine!”
Hopper uscì dal bagno, senza mostrare alcun interesse per il sesso del gatto. “Andiamo, abbiamo finito.”
“Ma come? Mica possiamo lasciarla qui tutta sola?”
“Ora repertiamo pure lei e la mandiamo in laboratorio per le analisi insieme all’orecchino.”
“Stai dicendo sul serio, commissario?”
“Scema, certo che no.” Quanto gli piaceva prenderla in giro, era così ingenua che si beveva tutte le fandonie che le raccontava. “Vediamo se la vittima aveva dei parenti che possono occuparsene, sennò la portiamo al canile comunale. Il commissariato non è un rifugio per animali soli.”
“E se me la prendessi io? È così carina e fuffosa, e poi siamo diventate già amiche.”


“Mi state dicendo che Laura è morta?!” fece incredulo A.J. Lawrence, sporgendosi da dietro alla scrivania. La sua corporatura bassa e tarchiata e i folti baffi sul faccione arrossato lo rendevano più simile ad una caricatura che a un giornalista.
“È così, signore” replicò Hopper, osservando nervosamente il piccolo ufficio del direttore di Times of Albany, nebbioso per il fumo di sigaro.
“Cristo Santo, ma com’è stato possibile? Dico – era una delle migliori qui dentro, forse la migliore in assoluto.”
“Le indagini sono in corso. Al momento non posso dirle altro, mi dispiace.”
“Ma avrete almeno dei sospetti, una pista da seguire…”
“Non posso rivelarle alcun dettaglio sull’indagine” ripeté Hopper. Odiava i giornalisti, pronti a tutto pur di arraffare qualche informazione in più e fare lo scoop – si sarebbero venduti anche la madre per un titolone da prima pagina. “Da quanto tempo lavorava qui la signora Morrison?” chiese invece.
“Laura è nata qui – come giornalista, intendo.” Si concesse un istante per accendersi un altro sigaro e tirare qualche boccata di fumo. “Ha iniziato facendo la stagista più di vent’anni fa, poi si è iscritta all’albo ed è diventata redattrice. Prima ha fatto altri lavori, cosucce saltuarie, di poco conto.”
“Quindi può affermare di conoscerla bene?”
“Insomma, nessuno la conosceva davvero bene. Lei era sempre così…misteriosa, vaga. Non parlava mai di sé, né si sbottonava troppo su questioni che non fossero meramente lavorative. So che aveva un fratello – credo si chiami Tony – e che i suoi genitori sono morti parecchi anni fa in un incidente d’auto, ma non so dirvi altro.”
“Qualche collega a cui era più legata?”
“Potete parlare con Frances, erano amiche dai tempi del college. È stata lei a presentarmela, a farla venire qui. La trovate nell’ufficio in fondo al corridoio, affianco a quello di Laura.”
“D’accordo.” Il commissario fece per alzarsi. “Un’ultima cosa. Potrebbe dirmi dov’era l’altro ieri sera, orientativamente fra le cinque e le sette?”
“Sospetta di me?”
“Sospetto di tutti. È il mio mestiere.”
“Ha ragione.” Il direttore si lisciò i baffoni con le dita prima di rispondere. “Ero fuori dal tribunale d’appello, stavo aspettando la sentenza al processo del procuratore Harvey per lanciarla con l’edizione della notte. Mi pare che ci fosse anche lei all’udienza, commissario.”
“Sì, c’ero anch’io” annuì Hopper con un sorriso beffardo. “Ma non posso confermare di averla vista, ovviamente. Ad ogni modo, ora vorrei parlare un po’ con i colleghi di Laura e dare un’occhiata anche al suo ufficio, se non le dispiace.”
“Certo, faccia quello che deve.” Con l’interfono chiamò la sua segretaria, un’anziana signora dal trucco un po’ troppo esagerato per la sua età, che gli fece strada nel lungo corridoio.

L’ufficio di Laura Morrison era un bugigattolo piccolo e poco illuminato. Un lucernario con il vetro opaco per la troppa polvere era l’unica fonte di aria e di luce provenienti dall’esterno. Malgrado lo squallore generale, il posto aveva un suo fascino – doveva essere il tocco femminile che la vittima aveva messo in ogni angolo, dalla disposizione dei libri sulla scaffalatura metallica all’immancabile pianta sistemata in modo che potesse trarre il massimo beneficio dal fascio di luce che arrivava dall’alto.
Sulla scrivania giaceva una pila ordinata di fascicoli e cartelline dei colori più disparati, che dovevano contenere informazioni sulle inchieste che stava seguendo. La vecchia macchina da scrivere Remington – un pezzo da collezione tenuto benissimo, doveva valere una fortuna – era sistemata accanto ad un più moderno MacBook. A completare il tutto c’era un elegante set da scrivania in legno e cuoio con inserti in argento, di quelli che comprendono il portapenne, l’agenda, la scatola per i post-it e compagnia bella. Sulle placchette metalliche campeggiavano le lettere L e M.

Hopper su affacciò al di sotto della scrivania e prese a frugare nel cestino delle cartacce che – per fortuna – non ancora svuotato, quando qualcuno bussò alla porta semiaperta.
“Signor commissario?” fece una voce incrinata dal pianto. “Sono Frances Le Blanc. Il direttore mi ha appena detto che…”
Hopper riemerse da sotto la scrivania e si mise in piedi, cercando di sistemarsi i vestiti sgualciti. Frances Le Blanc era una maschera di disperazione – il volto rosso e infiammato per il troppo pianto, il trucco sbavato sotto gli occhi e le mani piene di fazzolettini di carta zuppi delle sue lacrime. Indossava un tailleur verde bottiglia, appesantito da un vistoso paio di orecchini di madreperla e dalla collana abbinata.
“Si accomodi, signora Le Blanc. La stavo aspettando.” Attese che si fosse seduta sulla sedia dall’altra parte della scrivania e che si fosse soffiata poco elegantemente il naso, prima chiudere la porta dietro di sé e di iniziare con le domande. “Il direttore mi ha detto che lei e la vittima eravate molto amiche.”
“Ci conoscevamo da una vita, Laura ed io. Abbiamo fatto l’università insieme, poi ci siamo perse di vista per un po’ di anni. Nel frattempo io ero diventata giornalista e avevo conosciuto mio marito.”
“Poi cosa è successo?”
“Dopo qualche anno si rifece viva e si rivolse a me perché era in cerca di lavoro, e voleva sapere se qui in redazione poteva esserci bisogno di lei. Così ne parlai con il direttore, che mi disse di volerla conoscere prima di assumerla.”
“Quindi li ha presentati lei?”
“Sì, la portai con me alla cena aziendale di Natale e la introdussi alla redazione. Dopo poco fu assunta come stagista e poi come redattrice.”
“E come sono cambiati i vostri rapporti dopo che siete diventate colleghe?”
“Laura era la mia migliore amica!” La voce della donna si incrinò di nuovo. “Il fatto di essere diventate colleghe non aveva alterato in alcun modo il nostro rapporto – semmai lo aveva migliorato. Avevamo solo più cose da condividere.”
“Ho capito.” Hopper si sistemò meglio sulla sedia. “Mi ha detto di essersi sposata, nel frattempo. Giusto?”
“Sì, con Mark.”
“Era un vostro amico del college?”
“No, l’ho conosciuto dopo, durante una vacanza con la mia famiglia. È un avvocato.”
“Avete dei figli?”
“Due, un maschio e una femmina. Laura era come una zia per loro – praticamente mi ha aiutato a crescerli. È capitato molte volte che io e Mark li abbiamo lasciati a lei per uscire soli io e lui, la adoravano.”
“E cosa mi dice della situazione sentimentale della signora Morrison? Aveva un compagno?”
Fraces si concesse un momento prima di rispondere, come a ponderare le parole più adatte. “Su questo piano io e Laura eravamo molto diverse. Io avevo scelto di sposarmi, di mettere su famiglia…lei invece voleva restare uno spirito libero, senza vincoli e senza costrizioni.”
“Sa di qualcuno che le era particolarmente vicino in questo periodo?”
“Non so che dirle, commissario. Su questo Laura non si confidava mai con me, perché sapeva che avrei provato in tutti i modi a convincerla a mettere la testa a posto e a trovarsi un bravo ragazzo con cui stare.”
Hopper annuì, meditabondo. Tutti conoscevano Laura, ma nessuno la conosceva davvero – tanto da potergli dare qualche informazione che fosse veramente utile. Avrebbe dovuto indagare diversamente per comprendere chi fosse la donna che avevano trovato cadavere.
“Forse però c’è una cosa che le posso dirle e che penso potrà servirle. L’altro giorno, il giorno prima che Laura fosse…insomma, fosse ammazzata, un ragazzo venne qui e chiese di lei. Era un ragazzo che non avevo mai visto prima, dall’accento sembrava uno del nord.”
“E che voleva?”
“Non lo so. Disse solo che voleva parlare con Laura, che era urgente. L’aveva chiamata al telefono ma lei non gli aveva dato la possibilità di incontrarla, così lui si era presentato in ufficio senza preavviso.”
“È più tornato? Il giorno dell’omicidio, ad esempio?”
“No, non l’ho più visto. Laura non mi disse nulla al riguardo, e io non insistetti con le domande.”
“Un’ultima cosa, signora Le Blanc. Dov’era la sera dell’omicidio? Lei comprenderà, è una domanda di rito – niente di personale.”
“Ma certo, ma certo commissario.” Si schiarì un poco la voce. “Ero qui, in ufficio.”
“Da sola?”
“Sì, dopo le cinque vanno via tutti, resta solo una persona di turno, nel caso succeda qualcosa.”
“È sempre lei che fa il turno di martedì?”
“In realtà no, è capitato solo questa settimana che ho fatto cambio con una collega – ieri ho dovuto accompagnare mio figlio dal dentista e non potevo lavorare. Stavamo aspettando la condanna al procuratore della contea, avrà sentito la notizia. Il direttore era proprio fuori al tribunale e mi ha chiamato per aggiornarmi.”
“Si ricorda che ora era?”
“Mi pare che fossero le sei, più o meno. Forse le sei e un quarto.”
“La ringrazio molto per il suo tempo e per le informazioni che mi ha dato. C’è qualcun altro con cui potrei parlare qui in redazione, qualcuno che lavorava a stretto contatto con la vittima?”
“Ci sarebbe Jerry, il correttore di bozze. Anche lui conosceva Laura da anni.”


L’ufficio di Jeremy Thompson era una massa informe di vecchie edizioni del giornale, appunti raffazzonati, puntine colorate, articoli già battuti e non ancora corretti. Seduto alla scrivania, dietro lo schermo di un computer fuori produzione ormai da un paio di decenni, si nascondeva il suo proprietario – un uomo smunto e dall’incarnato ingiallito per il troppo fumo.
“Signor Thompson?”
Jerry fece capolino da un lato del monitor. “Non vede che sono occupato?”
Il commissario ignorò la protesta del suo interlocutore ed entrò nello studio, chiudendo la porta dietro di sé. “Commissario Christopher Hopper. Sono qui per l’omicidio di Laura Morrison.”
Thompson impiegò qualche secondo per assimilare l’informazione, poi sospirò profondamente, accasciandosi sulla sedia girevole come un sacco di patate. “Laura è stata ammazzata? Quando?”
“L’altro ieri sera.”
“E come?” biascicò l’uomo, visibilmente sconvolto da quella notizia.
“È quello che stiamo cercando di capire, signor Thompson. Lei in che rapporti era con la vittima? Vi frequentavate dopo il lavoro?”
“Cosa vuole che le dica, commissario…ci siamo frequentati per un po’ di tempo, alcuni anni fa, ma la cosa è finita senza troppo clamore. Io ero già sposato e mio figlio era piccolo, le chiesi di essere discreta e lei ha tenuto il segreto per tutto questo tempo.”
Hopper annotò mentalmente quell’informazione, riservandosi il diritto di indagare quella relazione in modo più approfondito, qualora ce ne fosse stato bisogno. “E che opinione si era fatto di lei?”
“Era brava, certo – i suoi pezzi erano fantastici e le sue inchieste facevano il botto ogni volta. Ma sapeva anche come vendersi sul mercato…se capisce cosa intendo.”
“Si spieghi meglio.”
“Insomma, come dire – se voleva qualcosa faceva di tutto per ottenerlo, anche mettersi a disposizione in quel senso.”
“Intende dire che intratteneva relazioni sessuali in cambio di favori o informazioni?”
“Esattamente questo. Sennò, come crede che avrebbe ottenuto il posto qui in redazione? Frances la presentò al direttore, ma lei non aveva esperienza nel campo né referenze – prima di diventare giornalista aveva fatto solo lavoretti, come la commessa nei negozi e la cameriera. Lawrence non voleva assumerla, ma lei presentò argomenti convincenti che le consentirono di entrare qui al Times. E così faceva con tutti, sia che avesse bisogno di qualche informazione per le sue inchieste, sia che le servisse qualche tipo di favore.”
“Pensa che qualcuno avrebbe potuto ucciderla per questo?”
“Mah…non credo. In fondo, non ha mai fatto del male a nessuno – diciamo che quello era il suo modo di lavorare.”
“Lei dov’era due sere fa?”
“Ero a casa, con mia moglie e mio figlio. Può chiedere a loro se non mi crede.”
Hopper schioccò la lingua contro il palato, la sua mente già pronta ad elaborare la mossa successiva. “Non è necessario – per ora. Ma si tenga a disposizione per altre domande.”


“Allora? Che ne pensi?” chiese Cindy facendo, ingresso nell’ufficio del commissario – ovviamente senza bussare. Porse al suo capo una tazza di caffè fumante con pochissima schiuma e senza zucchero, come piaceva a lui.
“Non lo so. Tutti la stimavano e ne hanno parlato bene, ma qualcuno dovrà pur averla ammazzata.” Prese un sorso di caffè e si passò la lingua sul labbro superiore per raccogliere la schiuma che vi si era depositata. L’aveva sognata proprio la notte passata, la giornalista dal cappotto rosso, ma non ricordava molti dettagli di quell’incubo angosciante che lo aveva fatto svegliare agitato, in una pozza di sudore. Gli accadeva spesso che i cadaveri a cui non riusciva a rendere giustizia venissero poi a tormentarlo nel sonno, nel buio della sua stanza da letto. “Abbiamo uomini potenzialmente imbufaliti per essere stati sfruttati e sputtanati e mogli furiose per il tradimento dei loro mariti – per non parlare delle vittime delle sue inchieste, a cui lei ha rovinato la reputazione.”
“Insomma, non era una santa” sentenziò Cindy. “Ci sono parecchie persone che potevano volerla morta.” La ragazza rubò un sorso di caffè dalla tazza del commissario, ottenendo un’occhiataccia velenosa da parte sua. “Vuoi sapere come la penso? Secondo me è stato uno dei uomini con cui lei è andata a letto, dopo essersi reso conto di che personaggio fosse. Magari se n’era innamorato e l’ha vestita da puttana proprio perché era diventata questo ai suoi occhi – una donna che si vende al miglior offerente.”
“La vedo complicata per un uomo. Io non sarei in grado di vestire una donna di tutto punto e di indovinare taglia di vestiti e numero di scarpe.”
“Questo perché tu non conosci davvero le donne.”
Hopper sorvolò su quel commento. Non erano mancate le occasioni, da quando Cindy aveva iniziato a lavorare con lui, nelle quali la ragazza aveva criticato il suo comportamento arrogante e strafottente nei confronti dell’altro sesso, specie quando arrivava al mattino in ufficio con gli stessi vestiti indossati il giorno prima e la barba non fatta – evidente segnale del fatto che non avesse trascorso la notte a casa sua. Sapeva che lei lo disprezzava per questo, e si sorprendeva ogni volta a sentirsi mortificato dallo sguardo giudicante e accusatore di quella ragazzina.
“Intanto dalla scientifica ci dicono che la vasca da bagno è effettivamente la scena del crimine primaria” disse, giusto per cambiare argomento. “Le tracce di sangue che sono emerse dai rilievi non lasciano spazio al dubbio. E anche un’altra cosa – l’orecchino che hai trovato sul tavolino non era della vittima, non c’erano le sue impronte sopra.”
Cindy avrebbe potuto sottolineare il fatto di aver avuto ragione, ancora una volta, ma preferì tacere. Hopper le sembrava troppo avvilito perché lei potesse permettersi di prenderlo in giro. “Il ragazzo di cui parlava Frances si chiama Thomas Porter, abbiamo trovato il suo numero nei tabulati telefonici della vittima” disse invece. “Ventidue anni, incensurato, vive nel Vermont e lavora come meccanico di motociclette.”
“Che ci fa qui ad Albany? E, soprattutto, cosa voleva da Laura?” Sorseggiò ancora un po’ il suo caffè, prima che si facesse freddo. “Vorrei fare due chiacchiere con questo giovanotto.”
“Alberga all’Hilton Hotel, sulla quinta. Mi sono già messa in contatto con lui per farlo venire qui.”
Hopper sbuffò. “Ma insomma, piccola, quante volte ti ho detto che non devi fare di testa tua e prendere strane iniziative?”
“Senza le mie strane iniziative tu brancoleresti nel buio più totale” replicò stizzita la ragazza, avviandosi verso la porta. “E NON chiamarmi piccola.”


Thomas Porter era un ragazzetto alto e magro, con la mascella squadrata e un paio di grandi occhiali dalla montatura spessa che lo facevano assomigliare un po’ all’alter ego di Superman. Si stava mangiucchiando nervosamente le unghie quando Hopper entrò nell’ufficio, seguito dall’agente Lamarca che avrebbe steso il verbale.
“Allora signor Porter, sa perché l’abbiamo fatta venire qui?”
“Per l’omicidio di Laura Morrison, presumo.”
Hopper si sedette alla scrivania, di fronte al ragazzo. Quella schiettezza già gli piaceva. “Esatto. Sappiamo che lei è stato nell’ufficio della vittima il giorno prima della sua morte, ma nessuno ha saputo dirmi chi fosse né cosa volesse. Lei arriva da molto lontano…vive nel Vermont, giusto?”
“Si, abito in un piccolo paese vicino Bennington.”
“Perché è venuto ad Albany? E perché ha insistito tanto per vedere la signora Morrison?”
“Laura Morrison era mia madre” rispose il ragazzo. “La mia madre biologica.”
Il commissario tacque, invitandolo a continuare con un gesto della mano.
“Quando sono diventato maggiorenne, l’anno scorso” iniziò il ragazzo “i miei genitori mi hanno detto che mi avevano adottato e mi hanno dato l’unica tutina che la mia madre biologica mi aveva comprato, quella che avevo addosso il giorno in cui fui abbandonato. Voglio bene ai miei genitori, mi hanno dato tutto, ma volevo vedere in faccia la mia vera madre, vedere se le assomigliavo almeno un po’, osservare la sua reazione di fronte a suo figlio.
Così sono andato in orfanotrofio e ho chiesto il fascicolo relativo alla mia adozione. Mia madre era Laura Morrison, all’epoca aveva venticinque anni e non era sposata. Di mio padre non c’erano informazioni. Trovarla non è stato difficile – il suo nome compare sul sito della redazione del Times of Albany. Così mi sono organizzato, ho preso un aereo per New York e sono arrivato qui.”
“La signora Morrison si è mostrata contenta di vederla?”
Il volto del ragazzo si tese in una smorfia di sdegno. “Non direi proprio. Era sorpresa e…infastidita dalla mia visita. Mi ha detto che se lei mi aveva abbandonato, anni prima, era perché non voleva avere nulla a che fare con me – che ero stato un errore di gioventù. Capisce? Io sarei un errore!”
“Cosa le ha detto esattamente?”
“Pensava che io fossi andato da lei per chiederle dei soldi, e mi ha detto che non ne aveva. Ho avuto come l’impressione che volesse cacciarmi via dalla redazione, che non volesse che io mi facessi vedere lì.”
Hopper aggrottò le sopracciglia. “Perché dice questo?”
“Non lo so. Mi ha liquidato in pochi minuti, ma ha detto che se volevo potevamo incontrarci un’altra volta l’indomani, dopo il suo turno in redazione. E, soprattutto, mi ha implorato di non parlare con nessuno e di non dire a nessuno dei suoi colleghi chi fossi davvero – mi ha detto che io ero stato concepito con un uomo che all’epoca era già sposato e che, se avessi rivelato la mia identità, avrei rovinato una famiglia.”
“Vi siete rivisti poi?”
“Sì, il giorno dopo come concordato. L’ho aspettata fuori dall’ufficio e abbiamo preso un drink in un caffè poco lontano. Lei mi ha pregato di andar via, di sparire dalla circolazione – mi aveva lasciato in un istituto del Vermont in modo che io restassi lontano dalla sua vita, che non tornassi mai a lei.” Thomas sospirò, scuotendo la testa. “Ma sa la cosa più triste che mi ha detto qual è stata, commissario? Il fatto che mio padre non sappia neanche che esisto. Come si può essere così egoisti, e pensare solo a se stessi? Ciò che uno ha commesso, anche se prova a nasconderlo, prima o poi chiede il conto.”
Hopper lasciò un attimo che il ticchettio della tastiera dell’agente Lamarca fosse l’unico suono in quella stanza. E così, Laura Morrison aveva avuto un figlio, da ragazza, da un uomo sposato che non aveva saputo della gravidanza – almeno stando a ciò che la donna aveva raccontato al giovane ora seduto di fronte a lui. Difficile non immaginare i sentimenti di odio, di risentimento, di disprezzo che Thomas doveva nutrire nei confronti di quella madre che lo aveva abbandonato, gettato via come si fa con la spazzatura.
“Poi cosa è accaduto?”
“Niente, ci siamo salutati e io mi sono fatto un giro a piedi nei dintorni – ero troppo amareggiato per tornarmene in albergo. Forse sono finito in un altro locale e ho bevuto qualcosa, non ricordo bene.”
“E non ha nessuno che può confermare il suo alibi, non è vero?”
“Non crederà che l’abbia ammazzata io, commissario. Le assicuro, non vale la pena rovinarsi per una poco di buono come lei.”


Al centralino del Southwestern Vermont Health Care di Bennington, il commissario Hopper chiese di poter parlare con l’ostetrica più anziana che lavorasse nel reparto maternità, nella speranza di entrare in contatto con qualcuno che c’era all’epoca della nascita di Thomas Porter. Si trattava di un bambino nato ventidue anni prima, un caso vecchio anche per gli archivi – che ai tempi non erano neanche digitalizzati – eppure ebbe l’insperata fortuna di parlare proprio con l’ostetrica che si occupò di far partorire Laura Morrison. All’epoca era solo una ragazzina e quello era uno dei suoi primi parti.
“Come potrei dimenticarlo?” disse la donna. “La mamma aveva praticamente la mia età e l’unico suo pensiero era liberarsi di quel figlio il prima possibile. Non volle neanche sapere se fosse maschio o femmina, o se stesse bene. Appena il medico glielo consentì, lasciò l’ospedale, affidando il piccolo alle suore che collaborano con la nostra struttura.”
“Lei saprebbe dirmi se la signora Morrison era sola?” chiese il commissario Hopper all’apparecchio. “Stiamo cercando il padre di quel bambino, qualunque indizio potrebbe rivelarsi vitale.”
“Mi lasci pensare un momento…la signora era arrivata in ospedale con la macchina, guidata da un uomo poco più grande di lei. Lo stesso uomo venne a prenderla quando fu dimessa dall’ospedale, e venne un attimo a trovarla subito dopo il parto – me lo ricordo perché parlammo un po’ in corridoio, prima che lo accompagnassi nella stanza della signora.”
“Cose vi diceste?”
“Lui era un uomo già sposato e la sua famiglia viveva ad Albany. Avevano scelto di far nascere il bambino in Vermont, lontano da casa, in modo da far perdere le loro tracce e evitare che qualcuno potesse collegare quel parto a loro. Nessuno avrebbe mai dovuto scoprirlo.”
“Ricorda qualcosa di quell’uomo – il nome o qualche dettaglio del suo aspetto fisico? So che sono passati molti anni, ma la prego di fare questo sforzo.”
“Mi dispiace, ma non credo di ricordare altro. Anzi no, aspetti” esclamò l’infermiera, colta da un’illuminazione. “Mi ricordo che l’uomo aveva un nome strano, forse francese – comunque non americano. Disse di essere un avvocato, all’epoca lavorava nell’entourage di un politico influente. Me lo ricordo perché gli chiesi se non ci fosse un altro modo per dare un futuro diverso a quel bambino, se non avesse potuto occuparsene in maniera discreta, senza che la moglie lo venisse a sapere, lasciando il piccolo con la madre. Mi disse che era già tanto che quel bambino fosse nato: aveva spinto molto affinché Laura abortisse, ma lei non ne aveva voluto sapere.”


“È francese, signor Le Blanc?” chiese il commissario Hopper all’uomo seduto di fronte alla scrivania di fronte a lui.
Mark le Blanc sorrise. “Mio padre era belga, è emigrato qui negli Stati Uniti quando era ragazzo in cerca di fortuna. Mia madre invece è di New York.”
“Ho capito. Immagino che siano in molti a farle questa domanda. In effetti il suo è un cognome che non passa inosservato.”
“Sì, accade di frequente, ma ormai ci ho fatto l’abitudine. Piuttosto…perché mi ha convocato?”
“Ha saputo della morte di Laura Morrison?”
“Sì, me lo ha detto mia moglie. Una brutta faccenda – Laura era una nostra cara amica.”
“Lei e la signora Morrison avevate avuto una relazione, anni fa. È così?”
“Chi glielo ha detto, commissario?”
“Risponda solo sì o no.”
Le Blanc si passò due dita nel colletto della camicia, fattosi improvvisamente troppo stretto. “Sì, io e Laura…siamo stati amanti. Ma è successo tanto tempo fa – cosa c’entra adesso?”
“E avete avuto anche un figlio insieme, un figlio che avete abbandonato in un ospedale del Vermont.”
“Non capisco che pertinenza possa avere questo con la morte di Laura.”
“Sapeva che vostro figlio si trova qui ad Albany, proprio in questi giorni? E sapeva che ha incontrato la signora Morrison, anche il giorno in cui questa è stata uccisa?”
“No, non lo sapevo. Perché avrei dovuto?!”
“Non lo so, magari la signora Morrison si è fatta viva con lei. Magari il ragazzo le ha chiesto dei soldi per stare zitto e lei ha pensato bene di chiedere aiuto al padre.”
“Ma cosa sta dicendo?!” Le Blanc si alzò di scatto, in preda ad un impeto d’ira. “Dopo la nascita del bambino, io e Laura ci giurammo di non rivederci mai più da soli, e di non sentirci per nessun motivo. Entrambi eravamo d’accordo nel non voler far soffrire mia moglie, che era anche la sua migliore amica. Il fatto che ora questo ragazzo sia qui non ha cambiato le cose – Laura non mi ha cercato, non mi ha detto nulla.”
“Non si alteri, signor Le Blanc – è in una situazione assai critica. Piuttosto, dov’era la sera del delitto?”
“Ero con mio figlio, l’avevo accompagnato dal dentista.”

“Hai sentito anche tu?” chiese Hopper a Cindy, dopo che il signor Le Blanc ebbe lasciato l’ufficio.
Cindy annuì. “Marito e moglie hanno usato lo stesso alibi, per due giorni diversi. Uno dei due mente per forza.” La ragazza si sedette sulla sedia finora occupata dall’amante della signora Morrison. “E in effetti, sia Frances che suo marito avevano degli ottimi motivi per far fuori Laura. Lui si stava giocando il matrimonio, se il figlio era venuto qui a ricattarlo, o se Laura si era fatta viva con lui in qualche modo.”
“Sì, ma lei che motivo aveva per uccidere la sua migliore amica?” la incalzò il commissario.
“Non lo so, forse aveva scoperto il tradimento. Forse Thomas si era lasciato sfuggire qualcosa con lei, prima di parlare con sua madre.”
Hopper scosse la testa. “Non si uccide per una voce di corridoio. Ci dev’essere stato qualcosa di più incisivo, qualcosa che l’ha sconvolta. E ricordati che era in redazione, a lavorare, la sera del delitto.”
“D’accordo. Ma se si fosse allontanata dalla redazione, avesse commesso l’omicidio e fosse tornata? In fondo, era sola, nessuno può confermare che lei sia rimasta lì tutto il tempo. E poi, la sentenza del procuratore è stata pronunciata dopo le sette – quindi avrebbe avuto la possibilità di scrivere il pezzo per il giornale anche dopo aver commesso l’omicidio.”
“Ti dimentichi un dettaglio fondamentale, piccola.”
Cindy alzò gli occhi al cielo, infastidita dall’ennesima volta in cui Hopper la trattava come una bambina. “Quale?” sibilò.
“Il direttore l’ha chiamata dal tribunale mentre lei era in ufficio, alle sei e un quarto, e lei ha risposto dal telefono dell’ufficio. Si tratta proprio dell’orario in cui sarebbe dovuta essere altrove a commettere l’omicidio.”
La ragazza iniziò a torturare una ciocca dei suoi capelli corvini – lo faceva sempre quando era nervosa o pensierosa, ormai il commissario lo aveva imparato. Improvvisamente, assunse un’espressione scioccata e anche la sua postura mutò – come se si fosse un fulmine avesse illuminato il cielo cupo dei suoi pensieri. “Ascolta un attimo, mi è venuta in mente una cosa.”
“Un’altra delle tue teorie senza senso?” la schernì il commissario.
“Sono seria, stammi a sentire. Mio padre lavorava in una casa editrice, quando io e mia sorella eravamo piccole.”
“E allora? Cosa c’entra questo?”
Cindy lo zittì con un gesto della mano. “Nel corso degli anni ha avuto varie amanti e ha sfruttato la scusa del lavoro per passare del tempo loro. Visto che faceva spesso tardi, o che andava alla casa editrice anche di domenica, mia madre iniziò a insospettirsi e iniziò a chiamarlo più spesso mentre era in ufficio – e lui rispondeva sempre, a dimostrazione del fatto che era davvero dove diceva di essere, e che stava lavorando. Solo dopo alcuni anni abbiamo scoperto che dirottava le chiamate dirette al suo ufficio a casa dell’amante di turno per continuare ad illuderci. Frances Le Blanc potrebbe aver indirizzato le telefonate rivolte al suo ufficio sul proprio cellulare, in modo che il suo alibi reggesse…potremmo accertarcene controllando i tabulati del suo telefono.”
Hopper guardò la sua interlocutrice con dolcezza. Anche se sembrava una tipetta frivola e impenitente, aveva un’intelligenza fuori dal comune e si portava dietro ferite profonde e non del tutto rimarginate. “Possiamo controllare. Questa sarebbe la prova che potrebbe farla crollare all’interrogatorio.”


“Perché mi avete fatto venire qui?” chiese Frances Le Blanc. “Avete trovato l’assassino di Laura?”
“Diciamo di sì” disse Cindy, mentre prendeva posto sullo sgabello in un angolo dell’ufficio del commissario.
“Sembrerebbe che sia stata proprio lei a uccidere Laura Morrison, signora” aggiunse il commissario.
Frances proruppe in una risatina isterica. “Come vi permettete di muovere queste accuse? Non avrei mai potuto farlo, Laura era la mia migliore amica.”
“Ma era anche l’amante di suo marito, da cui aveva avuto un figlio” replicò Hopper. “Lei era in redazione, la sera del delitto, ma era sola e nessuno può confermare il suo alibi fino all’uscita del pezzo sulla condanna al procuratore, che è avvenuta dopo le 19.00.
Ora le dico come sono andati i fatti, secondo me. Ha fatto cambio turno al giornale apposta per avere un alibi e ha dirottato le chiamate dal telefono dell’ufficio al suo cellulare per dimostrare di essere a lavoro, come ci è stato confermato dai tabulati telefonici e dalla presenza di un suo orecchino a clip nel salotto della vittima – deve esserselo tolto per rispondere alla telefonata del direttore. Si è presentata a casa della vittima, l’ha uccisa e ha abbandonato il cadavere dove noi lo abbiamo trovato. È corretto?”
Lo sguardò di Frances tradiva tutto l’odio per quella che un tempo era stata la sua migliore amica. Tacque a lungo prima di dare inizio alla sua confessione – non c’era più possibilità di nascondersi ormai. “Non avevo mai dubitato della fedeltà di mio marito” iniziò. “Poi, un giorno, è arrivato quel ragazzino del Vermont. Il mio ufficio confinava con quello di Laura, e dalla parete sottile ho potuto origliare la loro conversazione.
Il ragazzo era suo figlio. Sentivo Laura implorarlo di non dire niente a nessuno, perché avrebbe rovinato la sua vita e quella dei suoi amici più cari: aveva concepito quel bambino con il marito della sua migliore amica, era stata una cosa deplorevole. Non mi ci è voluto molto a capire che quell’uomo, il padre di quel ragazzo, era mio marito. La vita perfetta che mi ero costruita in venticinque anni di matrimonio si infrangeva contro gli scogli, distruggendosi in mille pezzi. Laura non poteva passarla liscia – dovevo fargliela pagare, in un modo o nell’altro. Così ho elaborato un piano che mi sembrava perfetto.
Sono andata in una boutique costosa, ha comprato un cappotto rosso e delle scarpe con il tacco – tutti abiti succinti, lontani dal suo guardaroba ma non dalla sua condotta di vita. Ho fatto cambio con Loretta per il turno del pomeriggio, raccontandole di un impegno saltato fuori all’improvviso, poi ho chiamato Laura e le ho chiesto di vederci, l’avrei raggiunta io a casa sua.
Quando le ho detto che avevo scoperto che Mark e lei avevano avuto una relazione, si è messa a piangere e mi ha supplicato di perdonarla – era una cosa successa decenni prima e mai più ripetuta – ma io non ho voluto sentire ragioni: Mark mi aveva tradito, lei mi aveva tradito con i suoi modi da amica…mi aveva ingannato per vent’anni, dopo aver portato in grembo il figlio di mio marito. La testa ha preso a girarmi, e io non vedevo altra soluzione se non quella di ammazzarla.”
Hopper rivolse uno sguardo a Cindy, e vide il volto della giovane sconvolto da quel racconto così macabro.
“L’ho accoltellata al cuore come lei aveva fatto con me, con il tagliacarte che le regalai quando vinse il concorso come giornalista, poi ho trascinato il suo cadavere nella vasca da bagno, l’ho lavato del sangue e l’ho vestito con i vestiti che avevo comprato. Prima di abbandonarla in strada, dalla sua borsa ho tolto documenti e oggetti che potessero identificarla, ma ho lasciato i soldi e i gioielli. Ho voluto dimostrare al mondo quello che era veramente Laura Morrison – una viscida puttana senza volto, pronta a svendersi al miglior offerente.”


Hopper tirò un sospiro di sollievo mentre l’agente Lamarca faceva firmare il verbale alla signora Le Blanc e la conduceva in cella. Un caso complicato era stato risolto, anche se in modo molto brutto. Si stava ancora grattando la nuca quando il suo sguardo incrociò quello di Cindy. Per tutto il tempo era stata seduta in silenzio, in un angolo dell’ufficio, e aveva osservato senza proferire parola quella confessione così dolorosa. Ora il suo viso di ragazza tradiva tutta l’angoscia di quel momento, tutta l’amarezza per quell’orribile delitto.
“Che ti prende?” le sussurrò Hopper.
“Nulla. È solo che…non lo so, non mi sento di condannare del tutto questa donna. Ha ucciso, è vero, ma lo ha fatto perché si è sentita tradita. Insomma, suo marito e la sua migliore amica hanno avuto un figlio insieme…io non so cosa avrei fatto al suo posto.”
Il commissario si alzò, barcollando leggermente. Quella storia orribile aveva turbato anche lui, ma in fondo era una faccenda che non li riguardava. Dovevano andare avanti, in qualche modo. Si avvicinò a lei, provando a sorridere. “Andiamo, ti offro una birra.”
“Ma siamo in servizio” replicò Cindy.
“Abbiamo risolto il caso, dobbiamo festeggiare.” Le tese una mano, e lei intrecciò le dita a quelle dell’uomo. “Dove mi porti, Chris?”
Hopper sorrise. Era la prima volta che Cindy lo chiamava per nome. Suonava strano sulle labbra piene e carnose di lei, ma non gli dispiaceva affatto. “Dove vuoi tu” le rispose.
Spense la luce e lasciò che lei lo portasse fuori di lì.


Questo è il mio primo tentativo con un racconto giallo…diciamo che il giallo non è il mio genere preferito, né quello in cui mi sento più a mio agio – spero mi perdonerete per l’intreccio narrativo piuttosto semplice e possiate apprezzare anche questo mio lavoro. Un’altra versione di questo racconto (la trovate QUI), ridotta per motivi di bando, ha partecipato alla XLIX Premio Gran Giallo città di Cattolica.

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