La scommessa

“Benvenuti da Burger King, io sono Elly. Come posso aiutarvi?” Queste erano state le prime parole che Eleanor gli aveva rivolto.
Non era la prima volta che Alex andava a quel drive-in sulla quinta strada, e forse gli era anche già capitato di vederla, ma non vi aveva fatto caso più di tanto – troppo pieno di sé come al solito. Era stata la sua fidanzata, Nancy, a fargli notare quella cameriera imbranata, grassoccia e con l’apparecchio ai denti, che aveva preso la loro ordinazione – doppio hamburger con patatine e Coca-Cola media per lui, crocchette di pollo senza salse e Coca-Cola Zero piccola per lei.
“Hai visto quanto è brutta quella?” aveva commentato.
“Ma chi?”
“Ma come chi? La ragazza che ci ha portato la roba. Sembra uscita da un film dell’orrore.”
Non l’aveva vista, e non ne aveva apprezzato la lampante bruttezza – a stento ricordava di averne sentito la voce al citofono. “Ma che te ne frega, aveva sbottato senza starci a pensare troppo. Ti ha portato quello che hai chiesto, no? E allora pensa a mangiare.”
Lui e Nancy si erano lasciati due giorni dopo quel lauto pasto da Burger King per incomprensioni. Lei si era sfilata sostenendo che lui non la capiva, e lui non si era applicato più di tanto a capire cosa gli stesse dicendo. Ne avrebbe trovata un’altra – anzi, mille altre. Gli bastava alzare un dito e tutte cadevano ai suoi piedi: era bello, ricco, aveva una macchina costosa e un enorme appartamento in pieno centro a Manhattan, e le ragazze non chiedevano di meglio.

Alex ritornò in quel drive in una settimana dopo, in compagnia dei suoi compagni di scorribande Max, Leonard, Mick e Ross. Si conoscevano dai tempi del college ed erano rimasti amici anche dopo, quando ognuno di loro aveva preso la propria strada: Max era diventato avvocato come il padre, Leonard aveva vinto una borsa di ricerca in fisica nucleare alla NYU, Mick stava provando a lanciare un business miliardario online e Ross…beh, Ross amava le belle donne e il buon vino, e dedicava ben poco tempo allo studio o a qualsiasi altra attività che potesse fornirgli un ritorno economico – fortuna che c’era il padre a sganciare quattrini per mantenerlo. I cinque amici si ritrovavano ogni martedì per il consueto appuntamento con il bowling, uno sport in cui Mick non aveva rivali, e dopo finivano sempre per mangiare in qualche tavola calda o al fast food.
Quella sera erano capitati nello stesso Burger King che solo alcuni giorni prima era stato il set di uno scontro epico fra Alex e la sua ormai ex ragazza, uno degli ultimi fuochi prima della fine della loro tormentata relazione.
“Benvenuti da Burger King, io sono Elly. Come posso aiutarvi?” disse la giovane cameriera da dietro al vetro.
“Wow, che cesso ambulante questa qui” esclamò Ross, che di donne se ne intendeva.
“La tua finezza è sempre sorprendente, idiota” gli fece eco Leonard, l’intellettuale.
Alex spese qualche secondo a guardare la ragazza che aveva di fronte, mentre le dettava le ordinazioni di tutti. Doveva essere la stessa che già la sua ex aveva cercato di fargli notare qualche giorno prima – ma non ne era del tutto sicuro. Anche se sembrava più piccola della sua età e portava ancora l’apparecchi ai denti, non doveva avere molti anni meno di lui. Era grassoccia e sciatta, e aveva i capelli tutti in disordine, raccolti alla meno peggio con un fermaglio. Forse non era brutta quanto dicevano, ma certamente non era bella. E nemmeno carina.
“Buon appetito, e grazie per aver scelto Burger King” gli disse quando gli ebbe portato i tre sacchetti con le ordinazioni che aveva fatto, mostrando il suo sorriso metallico.
Alex neanche la salutò.

“È proprio un caso disperato” incalzò Ross mentre addentava il suo panino con doppio cheddar e tripla salsa piccante. “Mi sa che in mezzo alle gambe ha le ragnatele! Puzza di verginella a chilometri di distanza.”
La sua battuta fece ridere tutti – compreso Leo che, nonostante tutto, non condivideva tutto quell’accanimento nei confronti di quella povera ragazza.
“Scommettiamo che il nostro Indiana Jones riesce a conquistare anche questo territorio inesplorato?” propose Max, rivolgendosi ad Alex. Avevano il brutto vizio di scommettere praticamente su tutto, e non ci andavano leggeri con le cifre che mettevano in palio.
“È un’idea grandiosa!” disse Mick. “Mille dollari se hai il coraggio di portartela a letto.”
La proposta incontrò subito il favore di tutti.
“Ma chi? Quella del drive in?” Mille dollari avrebbero potuto fargli comodo, in effetti. Namcy lo aveva spennato come un pollo, costringendolo a farle regali costosissimi, e lui era rimasto praticamente al verde. Con quella piccola fortuna si sarebbe potuto togliere qualche sfizio – come per esempio un amplificatore nuovo per la sua chitarra elettrica. In fondo, che gli costava portarsi quella ragazza a letto? Mica se la doveva sposare!
“Esatto. Quello scorfano che ti ha dato i panini. Se te la fotti, sono mille bigliettoni per te, amico.”
“Alex si fotterebbe pure un cassonetto dell’immondizia” osservò laconico Leonard. “Il problema credo sia lei. Mi sembra una ragazza troppo seria e perbene perché il tuo fascino possa avere effetto.”
“Su questo hai ragione” concordò Ross. “Magari è una mormonica, o fa il catechismo tutte le settimane come mia zia Sue.” Si esibì in un rumoroso rutto. “E allora sarà dura da convincere.”
Malgrado la difficoltà e lo squallore di quella scommessa, la mente di Alex era stata già allertata all’idea di mettere le mani su quel gruzzolo e lavorava veloce allo sviluppo di un piano di attacco. “Quanto tempo ho?”
“Io direi una settimana” disse Ross.
“Secondo me è troppo poco” avanzò Max. “Questo è un caso clinico. In una settimana al massimo la inviti a uscire per un gelato.”
“Sei mesi?” propose Leonard.
“Ma ti sei bevuto il cervello, idiota?!” sbottò Mick. “Sei mesi sono tantissimi – poi è ovvio che ci riesce. Di’ che hai soldi da buttare, Leo.”
“Mi prendo due mesi di tempo” propose Alex, sperando che andasse bene. “Due mesi per portarmela a letto, almeno una volta. E i mille dollari sono miei.”
“E se non ci riesci devi duecentocinquanta verdoni a ognuno di noi” rispose Mick, giusto per essere chiaro.
Ross si intromise ancora. “Ma come facciamo a sapere che non ci prendi per il culo? Ci vuole una prova del compimento dell’impresa.”
“E che prova vi posso dare? Vi porto le sue belle mutandone?”
“No, le fai una foto nuda” disse Leo, amante del metodo scientifico. “A letto con te. E noi sborseremo i soldi.”
“Cercando di non vomitare!” aggiunse Mick.
La scommessa prese corpo con una stretta di mano fra tutti i partecipanti e con un conto alla rovescia da lì a due mesi. Sessanta giorni per entrare nelle grazie di Elly, sedurla e portarsela a letto – niente di impossibile, pensò Alex.

Il ragazzo tornò al Burger King già il giorno dopo, per sondare il terreno. Doveva capire se Elly avesse un ragazzo fisso o qualcuno che la corteggiava (cosa di cui dubitava fortemente), ma soprattutto in che giorni lavorasse, per essere certo di incontrarla ancora. Alla cassa del drive-in c’era una certa Susy, o almeno così diceva la sua etichetta, e a lei chiese della ragazza carina che era al suo posto il giorno precedente.
“Ma chi, Elly?” fece lei ridendo. Carina non era il termine che avrebbe scelto per descrivere la sua collega.
“Credo che si chiami così” replicò Alex con nonchalance e con un sorriso seducente. “Allora? Quand’è che posso trovarla qui?”
“Ha il turno domani sera fino a mezzanotte.”
“E poi?” Voleva farsi un’idea generale dei suoi orari per tutta la settimana – non si sarebbe lasciato scappare neanche un’occasione per incontrarla.
“E poi non mi ricordo…ma se mi aspetti qui un attimo, posso fare una foto alla bacheca dei turni mensili.”
Alex la fulminò con il migliore dei suoi sorrisi. Il pensiero dei mille verdoni si faceva di istante in istante più concreto. “Ti sarei infinitamente grato se potessi fare una cosa del genere. È veramente molto importante per me poterla rincontrare.”

L’indomani sera si presentò al drive-in di Burger King e, come previsto, poté rivolgere la sua ordinazione a Elly – un panino con bacon senza salse e una bottiglietta d’acqua minerale.
“Grazie Elly.” Il sorriso che le rivolse quando mise le mani sul sacchetto la fece diventare immediatamente paonazza.
“Ci conosciamo?”
“No, non direi. Ma potremmo conoscerci se ti va.”
Elly avvampò ancora di più – un ottimo segno, pensò Alex. “Sono di turno fino a tardi questa sera. Passa domani, magari possiamo metterci d’accordo.”
“Ok, perfetto.” L’intenzione era proprio quella. Fece per mettere in moto, quando si rese conto di non essersi neppure presentato. “Io sono Alex, comunque.”
“Ciao Alex.”
Lui le fece l’occhiolino prima di andare via. Il ghiaccio si era rotto, ora sarebbe stata tutta una discesa – ne era certo.
Il giorno dopo, puntuale come di solito non era mai, Alex tornò al fast food. Sorrise alla giovane cameriera con l’apparecchio ai denti, che gli sorrise a sua volta. Ebbe come l’impressione che Elly lo stesse aspettando con trepidazione – e come darle torto del resto. Chissà quanti ragazzi nella sua misera carriera sentimentale avevano tentato un approccio con lei – probabilmente nessuno fino a quel momento aveva avuto il barbaro coraggio di avvicinarla, vista la sua scarsa avvenenza.
“Benvenuto da Burger King” lo salutò. “Cosa posso portarti?”
“Avete i frullati?” Alex conosceva il menù a memoria, visto il numero di volte in cui era stato al fast food, ma volle fare un po’ la figura dell’ignorante e lasciare che lei lo allettasse proponendogli le delizie della casa.
“Abbiamo fragola, cioccolato, caramello e mango. Quale preferisci?”
“Vada per quello a fragola.”
Dopo soli due minuti, Elly si avvicinò alla macchina con il bicchiere del frullato che aveva chiesto ma, presa dall’emozione, lo rovesciò all’interno dell’abitacolo dal finestrino aperto, macchiando la camicia e i pantaloni del povero Alex. Per un istante rimase come pietrificata, paralizzata dalla paura di aver compromesso per sempre la loro relazione prima ancora che potesse sbocciare. “Sono mortificata, davvero” fu tutto quello che riuscì a dire quando si destò dalla trance. “Aspetta che vado a prendere qualche tovagliolo. Aspettami qui, scusami.”
Alex avrebbe voluto volentieri romperle la testa. Quella era la macchina di suo padre, dannazione, e ora puzzava terribilmente di fragola. Ci sarebbero voluti mesi per levar via quell’odore dolciastro dalla tappezzeria dei sedili, e ne avrebbe ricavato una bella lavata di testa. Per non parlare dei suoi vestiti, completamente inzuppati di frullato appiccicoso. Ma doveva mantenere la calma, se non voleva perdere la scommessa – il pensiero dei mille dollari era l’unica cosa che lo tranquillizzava in quel momento. Elly tornò carica di fazzolettini con un enorme panino stilizzato marchiato sull’angolo. Aveva le lacrime agli occhi per la vergogna e non la smetteva di chiedere scusa – sembrava un disco rotto.
“Non ti preoccupare” cercò di tranquillizzarla, ma soprattutto di farla stare zitta. “È solo un po’ di frullato – basta una passata in tintoria.”
“Ti ho inzaccherato tutta la macchina” obiettò lei.
“Anche la macchina si lava, lo sai? Avanti, aiutami un po’.”
Spostò la macchina nel parcheggio del fast food, lontano dalla fila del drive-in, e uscì dall’abitacolo gocciolando frullato rosa. Un vero disastro, non c’erano altri termini. “Vedi? Sono ancora tutto intero!” commentò per farla sorridere, ma senza successo.
Eleanor stava piangendo, singhiozzando – grossi lacrimoni le appannavano gli occhiali dalla montatura scura. Sembrava una bambina che ha appena combinato un pasticcio e Alex ne ebbe pietà. Anche se gli aveva rovinato i vestiti e la macchina, non era il caso che si disperasse così – in fondo, non era successo nulla di irreparabile e quasi si pentì di essersi arrabbiato tanto. Le si fece più vicino e le sfilò gli occhiali, costringendola a sollevare la testa e a incontrare il suo sguardo e fu allora, guardandola davvero negli occhi, che comprese che dietro quell’apparenza sciatta e trasandata c’era un’anima bisognosa di affetto, di amore. Aveva degli occhi meravigliosi, color nocciola ma con delle sfumature quasi dorate, che non aveva ancora mai apprezzato – finora l’aveva guardata con superficialità e giudicata con cattiveria, non diversamente dalla sua ex ragazza o dai suoi amici.
“Ehi, stai tranquilla. Non è successo niente.” Le accarezzò la guancia paffuta per asciugarle le lacrime. “Smetti di piangere?”
Elly tirò su con il naso, annuendo nervosamente.
“A che ora finisci?”
“Stacco tra due ore.”
Si accorse che le era ancora molto vicino, e che la sua mano era ancora poggiata sulla sua guancia bagnata di pianto e per un momento volle godersi quel contatto inaspettatamente intenso. Sentiva di starsi cacciando in un brutto guaio, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dai suoi occhi quasi fosse ipnotizzato. Doveva restare concentrato, se voleva guadagnarsi quei soldi. “Vado a cambiarmi e ci vediamo dopo allora.”
“Ma…”
“Niente ma. Mi devi almeno una passeggiata, visto quello che è successo.”

Due ore più tardi, Alex era nuovamente parcheggiato nell’area di sosta davanti al Burger King. Aveva portato la macchina al lavaggio e aveva preso in prestito quella della madre, si era fatto una doccia veloce per togliersi l’odore stucchevole della fragola e si era rivestito di tutto punto. Era rimasto profondamente turbato da ciò che era accaduto prima – e non perché la macchina era un impiastro appiccicoso, né perché aveva perso un sacco di tempo ad andare e venire da casa sua. Il suo disagio aveva molto a che fare con gli occhi della ragazza che aveva avuto la brillante idea di innaffiarlo con il frullato, gli stessi occhi che aveva visto pieni di rammarico e di vergogna, pieni di lacrime per ciò che era successo. Era stato come affacciarsi da un precipizio, o dal terrazzo dell’Empire State Building: aveva visto l’infinito in quegli occhi, e la sensazione gli aveva dato come una boccata d’ossigeno, ma lo aveva lasciato al contempo colmo di angoscia. Che accidenti stava facendo? Perché prendersi gioco di quella ragazza che non gli aveva fatto nulla di male, che non meritava di essere trattata così? C’erano mille verdoni in ballo, certo, ma questo bastava a giustificare la sua deplorevole condotta?
Le sue elucubrazioni furono interrotte da Eleanor, che gli venne incontrò agitando la mano per attirare la sua attenzione. Aveva tolto la divisa rossa del drive-in e finalmente Alex la vedeva in abiti normali – un paio di pantaloni bianchi e una casacca fiorata dalle tinte di dubbio gusto. Aveva anche indossato un paio di orecchini con il pendente, forse per sembrargli più carina, ma erano troppo grossi per il suo viso e la facevano assomigliare piuttosto ad un lampadario. Purtroppo per Alex, aveva tolto gli occhiali spessi che usava sul lavoro e aveva indossato le lenti a contatto, lasciando al ragazzo la possibilità di affogare nei suoi occhi.
“Scusami ancora per prima” disse non appena si fu avvicinata abbastanza.
“Basta scuse, ti prego – non è successo nulla. Piuttosto, dove ti va di andare?”
“Vorrei sgranchirmi un po’ le gambe se non è un problema per te. Ti va di andare a Central Park?”
“D’accordo, perché no?”

Passeggiando per i viali del parco, Alex le aveva fatto qualche domanda per conoscerla meglio, per farsi un’idea di lei che andasse un po’ più a fondo della superficie. Elly gli aveva raccontato della sua infanzia trascorsa nel Minnesota, dove la sua famiglia ancora viveva, e del suo trasferimento a New York per studiare psicologia all’università grazie ad una borsa di studio che aveva ottenuto per merito: mancavano ormai poche settimane alla seduta di laurea, presto anche quell’esperienza sarebbe finita e magari sarebbe tornata a casa, alle sue amate montagne – anche se l’idea di restare a New York la seduceva e non poco. Per mantenersi, oltre a lavorare part-time da Burger King, dava anche ripetizioni a un paio di ragazzini, due volte alla settimana, mentre nel poco tempo libero che le restava si dedicava al volontariato in una mensa per senzatetto sulla quindicesima strada. Pochi amici, nessun fidanzato degno di essere menzionato, solo una scorbutica coinquilina con cui condivideva l’appartamento e che vedeva di malocchio ogni modifica alle sue abitudini.
“Cosa fai invece tu?” gli chiese quando ebbe raccontato tutto quello che aveva da dire sul suo conto.
“Sto studiando da dentista, mi mancano ormai pochi esami. E nel frattempo faccio tirocinio nello studio di mio padre.”
“Sembra una bella professione, anche tu come me vuoi aiutare gli altri.”
In realtà, Alex era stato praticamente costretto con la forza dal padre a intraprendere la carriera medica, in modo che il vecchio potesse lasciargli in eredità lo studio e tutti i suoi clienti. C’era da dire anche che l’aspettativa di guadagnare montagne di soldi e potersi permettere un cottage in montagna erano stati argomenti piuttosto validi per il suo convincimento. Non menzionò il suo sfacciato materialismo e il suo amore per il denaro alla giovane accompagnatrice, preferendo snocciolare aneddoti su pazienti salvati in extremis da scabrosi ascessi o su un laboratorio di igiene dentale che aveva tenuto l’anno passato in una scuola elementare, per insegnare ai bambini a prendersi cura del loro sorriso – doveva mostrare il suo lato migliore, quello umano e attento al prossimo, se voleva guadagnarsi la sua stima.
I due giovani trascorsero insieme quello che restava del pomeriggio, prima che Elly facesse presente che si era fatto tardi e che aveva voglia di rincasare, perché era stanca dopo la giornata di lavoro. “Mi ha fatto piacere passare del tempo con te” disse. “Sono stata bene.”
“Anche io sono stato molto bene con te” rispose Alex, e una volta tanto non era una frase di circostanza. Quando diede un’occhiata fugace al cellulare e si accorse che erano quasi le otto di sera, quasi non riuscì a credere di aver trascorso così tanto tempo in compagnia di quella che riteneva una ragazzetta scialba e noiosa e di non essersene praticamente accorto. Forse Elly poteva rivelarsi più interessante di quello che aveva inizialmente immaginato. Ma non doveva lasciarsi distrarre e doveva rimanere concentrato sull’obiettivo, se voleva guadagnarsi i suoi mille dollari.

Nelle settimane che seguirono gli incontri fra Alex e la ragazza del Burger King si andarono via via intensificando. Capitava non di rado che lui l’andasse a prendere al fast food alla fine del turno e che andassero a passeggiare a Central Park o per le vie di Manhattan. L’investimento di tempo che Alex stava facendo iniziava a dare i suoi frutti: Elly si apriva con lui, gli confidava i suoi segreti e i suoi desideri, non arretrava ogni qualvolta lui si azzardava a farle una carezza o a passarle la mano fra i capelli – anche se la meta restava piuttosto lontana.
Una sera aveva deciso di portarla al cinema a vedere una sdolcinata commedia romantica di quelle che piacciono tanto alle ragazze e, durante la proiezione, si era accorto quasi con terrore di essere più interessato a guardare la sua paffuta e goffa accompagnatrice che ora sgranocchiava i popcorn piuttosto che il film. Diversamente da quanto gli era capitato fino a quel momento, non era agitato da una pulsione istintuale, non aveva voglia di soddisfare i suoi appetiti sessuali in modo sbrigativo e animalesco, come era solito fare quando usciva con una ragazza: quella sera aveva una strana voglia di tenerezza – se ne sarebbe stavo volentieri accoccolato con la testa appoggiata sulle gambe di Elly a lasciarsi accarezzare i capelli in maniera innocente. Davanti alla scena di un addio all’aeroporto particolarmente stomachevole, le si era avvicinato per sussurrarle all’orecchio quanto fosse stupido e ridicolo il dialogo fra i due protagonisti. L’aveva sentita ridere per quel suo commento e, intossicato dal suo profumo inebriante che gli aveva annebbiato la mente, aveva voluto assaggiarne il sapore mordendole la candida pelle sotto l’orecchio. Allora lei gli aveva offerto le labbra in un bacio fuggevole ma sufficiente a far avvampare entrambi. Poi, per tutto il resto del film, non si erano più rivolti la parola né si erano toccati o anche solo sfiorati, troppo imbarazzati e scossi da ciò che era successo.
“Posso baciarti di nuovo?” chiese Elly quando furono usciti dalla sala.
Senza bisogno di risponderle, né di aggiungere altro, Alex la spinse delicatamente contro la locandina di un film in programmazione appesa alla parete, le prese il volto fra le mani e la baciò sulle labbra, perdendosi nel suo profumo di vaniglia e cocco.

Poi era venuto per Elly il giorno della sua laurea. Sarebbero arrivati i suoi genitori e sua sorella dal Minnesota, sarebbero stati orgogliosi di lei e di ciò che era riuscita a conquistare nella Grande Mela, e Elly avrebbe tanto voluto presentare loro il suo ragazzo, il raggio di sole inaspettato che da un po’ di tempo ormai illuminava le sue tristi e monotone giornate. Aveva estorto ad Alex la promessa di essere presente nel suo giorno più importante, per condividere anche con lui la gioia di quel traguardo tanto agognato e finalmente raggiunto. Il giovane non era così sicuro di volerci andare. Mancava ormai poco meno di un mese alla fine della scommessa, presto non avrebbe avuto più motivo di rincontrarla, e non voleva fare la conoscenza della sua famiglia, dare loro l’impressione di essere seriamente interessato alla ragazza. Ma quando Elly lo aveva pregato con i suoi occhi grandi e dolcissimi, non aveva saputo dire di no e aveva promesso che sarebbe passato, anche solo per un saluto.
Quel giorno Alex aveva fatto volutamente tardi ad arrivare in università – quando aveva messo piede in ateneo la seduta di Elly doveva essere iniziata già da un’oretta buona. Era entrato nella grande aula magna, dove tutti i tesisti erano seduti in prima fila con le loro toghe da cerimonia, supportati da familiari ed amici. Un ragazzo baffuto stava esponendo il suo lavoro sulla psicoanalisi junghiana ad una commissione di docenti incartapecoriti e piuttosto annoiati dall’argomento. Ma ciò che aveva colpito subito l’attenzione di Alex era stata la penultima ragazza della fila, la ragione per cui lui si trovava in quel momento: Eleanor, nascosta dentro una toga probabilmente di una taglia molto più grande della sua, la tesi stretta al petto come fosse stata un bambino e lo sguardo continuamente rivolto ora all’ingresso, ora al pubblico alle sue spalle, ora alle vetrate che affacciavano sul corridoio. Stava cercando proprio lui, lo sapeva, e per questo si celava nell’ombra, nascosto alla sua vista in un angolo della sala, combattuto fra il desiderio di mostrarsi a rassicurarla e quello perverso di deluderla, fingendo di non essere mai stato lì.
Trascorsero tre ore e mezza prima che gli undici tesisti che precedevano Elly discutessero i loro elaborati alla commissione. Quando fu fatto il nome della ragazza e le fu chiesto di alzarsi e avvicinarsi alla cattedra, Alex si palesò finalmente alla sua vista, facendo qualche passo in avanti verso il centro della sala: fu solo un attimo, un fugace incontro di sguardi, che fu tuttavia sufficiente ad infondere alla giovane quella serenità che finora le era mancata. Gli sorrise genuinamente, e lui rispose facendole l’occhiolino, ostentando una nonchalance che sapeva di non avere – sentiva le ginocchia venirgli meno e il cuore stringersi in una morsa, come se l’emozione che stava provando lei la stesse provando in egual modo anche lui. L’esposizione fu un successo: Eleanor si dimostrò preparata e competente e affascinò l’intera commissione con un lavoro sulla pedagogia infantile, per cui aveva condotto anche una sperimentazione pratica all’interno di un asilo. Aveva preparato dei plichi con i risultati dei suoi studi sui piccoli alunni e li aveva distribuiti a tutti i professori, in modo che potessero seguirla con più facilità, e aveva anche portato alcuni dei lavori fatti insieme ai bambini che dimostravano come il suo metodo aveva trovato applicazione concreta. Il presidente della commissione riservò un elogio particolare anche al suo lavoro pratico e attuale nel motivare il massimo dei voti che la commissione all’unanimità aveva voluto riservarle.
Dopo la proclamazione di tutti i voti la commissione si ritirò e i candidati poterono festeggiare con le rispettive famiglie il successo appena ottenuto. Il fotografo dell’ateneo si aggirava, armato di macchina fotografica, fra i capannelli di amici e parenti per immortalare i volti sorridenti e commossi dei neolaureati, da inserire poi negli annali dell’università. Dopo aver abbracciato a lungo i suoi genitori e sua sorella Linda, Elly si rivolse con lo sguardo e con l’animo al suo ragazzo, che per tutto il tempo era rimasto in disparte appoggiato alla parete laterale della grande sala. Gli andò incontro correndo, gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte a sé, lasciando andare un sospiro che aveva trattenuto per troppo tempo: Alex era lì con lei, davvero, e restituiva la stretta del suo abbraccio con altrettanto vigore, sussurrandole all’orecchio quanto fosse stata brava e quanto l’avesse sorpresa con quella stupenda esposizione. Perché era esattamente questo ciò che era accaduto: Elly lo aveva sorpreso, nel migliore dei modi possibili, dimostrando di essere molto di più di un’insulsa cameriera di fast food – ciò che credevano i suoi amici e che lui stesso aveva creduto fino a quel momento. La sua tenacia ed il suo impegno nel lavorare con i bambini, la sua profonda conoscenza della pedagogia, il modo sicuro ma non tronfio con cui aveva parlato alla commissione, gli avevano dimostrato una volta di più che Elly era speciale e che chiunque la giudicava con superficialità non aveva capito nulla del suo immenso valore.

Dopo la festa di laurea, Elly tornò per qualche giorno a casa dei suoi genitori, nel Minnesota. La settimana in cui non si videro fu per Alex particolarmente pesante da mandar giù: certo, aveva il suo tirocinio allo studio, la compagnia dei suoi amici e le partite di basket alla TV, ma sentiva stranamente che gli mancava qualcosa. Era come se Elly avesse portato con sé un po’ della sua voglia di vivere, del suo entusiasmo, e a lui non era rimasto altro da fare che starsene stravaccato sul divano a sorseggiare birra e mangiare alette di pollo fritte, aspettando che tornasse. Non avere il pungolo di doversi preparare per uscire con lei lo rendeva annoiato e poco reattivo a ogni altro tipo di stimolo. Aveva il numero di cellulare di Elly e avrebbe potuto usarlo per chiamarla o mandarle dei messaggi, per sentirla più vicina ogni volta che voleva, ma non aveva il coraggio di lasciarsi andare ad una smanceria tanto ridicola – neanche avesse avuto quindici anni e fosse stato alle prese con la sua prima cotta. E così aveva lasciato che quei lunghi giorni senza di lei passassero senza far altro che limitarsi a rispondere brevemente a qualche suo messaggio, provando a nascondere –innanzitutto a se stesso – quanto in realtà Elly gli mancasse e quanto lui stesse male a saperla lontana.
Finalmente, dopo otto lunghissimi giorni, arrivò il giorno del suo rientro in città, il giorno in cui poterono riabbracciarsi. Il giorno in cui fecero l’amore, nel più dolce e spontaneo dei modi. Approfittando della momentanea assenza della sua coinquilina nell’appartamento, Eleanor lo aveva invitato a salire a casa sua, senza nemmeno attendere che fosse lui a proporlo. La sua intraprendenza lo aveva colto di sorpresa e lo aveva lasciato senza fiato: si era fatto prendere per mano e si era lasciato condurre nella sua piccola stanza da letto, baciandola con struggimento. Con garbo le aveva chiesto il permesso di toglierle i vestiti che indossava, di poter toccare la sua pelle nuda, di poter entrare dentro di lei, senza mai smettere di guardarla negli occhi e di cercare i suoi baci. Tutto era stato così semplice, naturale, come se fossero nati per stare insieme e per fare l’amore. Per istinto le loro mani si erano cercate e le loro dita si erano intrecciate, mentre i loro cuori battevano all’unisono e i loro corpi si davano reciproco piacere. Quando scoccarono le undici e mezza, Elly lo buttò elegantemente giù dal lettino, senza lasciargli la possibilità di starsene ancora un po’ accoccolato con la testa sul suo seno. Lo costrinse a recuperare i suoi vestiti e lo spinse fuori di casa, non prima di avergli augurato buonanotte e di averlo baciato a lungo, dolcemente – la sua coinquilina stava per tornare, e avrebbe certamente dato di matto se l’avesse sorpresa a letto con un ragazzo.
Alex si fermò come intontito nella tromba delle scale, a metà fra il quinto e il quarto piano. Aveva vinto, la sua missione era compiuta. Anche se non aveva la foto che i suoi amici avrebbero certamente chiesto, ce l’aveva fatta. Eppure si sentiva malissimo, lo stomaco era stretto in una morsa tale da farlo quasi vomitare. Stava da schifo, perché Elly non avrebbe meritato un simile, meschino trattamento. Lo aveva amato con trasporto e passione, aveva dato tutta se stessa, e lo aveva condotto in un mondo magico, un mondo in cui c’era posto solo per loro e per il loro acerbo amore. Perché si trattava di questo, purtroppo: si era innamorato di lei, un inconveniente imprevisto che mai avrebbe immaginato potesse accadere e gli stava dilaniando l’anima. Come avrebbe fatto a perdonarsi un tale comportamento? Come avrebbe fatto a confessarlo a lei, a scoprire le carte e mostrarsi per la feccia che era in realtà? Lei lo amava davvero, glielo aveva sussurrato all’orecchio dopo aver fatto l’amore. E lui l’aveva guardata con occhi straniti, facendola quasi spaventare, prima di confessarle che il sentimento era reciproco, che anche lui l’amava, e che doveva ritenersi solo fortunato a stare insieme a lei. Elly aveva riso di quella sua ammissione di scarsa autostima, sostenendo che la fortunata era lei a stare con un ragazzo speciale come quello che stringeva fra le braccia, e in quel momento lui aveva desiderato di sparire nelle profondità della terra.

I giorni successivi, Alex fece il possibile per non pensare alla scommessa, per provare ad allontanare dalla sua mente il fatto che se stava con Eleanor era solo per guadagnare mille spocchiosi bigliettoni verdi e non perché l’amasse e la rispettasse dal profondo del suo cuore. Il fatto che avessero fatto l’amore, che lui l’avesse guardata per quello che era davvero e non per quello che appariva e che si fosse reso conto di aver bisogno di lei come dell’aria per respirare, non faceva altro che peggiorare la situazione. Ora che mancavano solo una manciata di giorni al termine dei due mesi si ritrovava con i suoi compagni per la consueta partita a bowling del martedì, e tutti quanti volevano sapere dei suoi progressi con Elly.
“Non c’è nulla da sapere” rispose evasivo Alex. Quel branco di deficienti che finora aveva considerato suoi amici non avrebbero potuto comprendere la profondità dei sentimenti che ormai lo legavano a doppio filo alla ragazza.
“Ancora non te la sei fatta?” chiese incredulo Ross. “Guarda che il tempo a tua disposizione sta per scadere.”
“E allora vorrà dire che avrete i vostri soldi. E non voglio più parlarne.”
“Ma non è che per caso te ne sei innamorato?” azzardò Leonard.
“Non sono cazzi vostri!”
Mick colse la palla al balzo. “Mi dici come accidenti hai fatto a innamorarti di una come lei?! È una mezza scema, e pure brutta!”
“Eleanor è una ragazza meravigliosa, se solo non foste così ottusi da fermarvi solo alle apparenze. È gentile e dolce e intelligente e simpatica e…e sinceramente non capisco perché dovrei giustificarmi con voi di quello che faccio.”
“A noi interessa solo sapere se ci sei andato a letto, non se hai perso la testa” disse Ross. “E poi, da quando ti conosco – ed è parecchio tempo – non ti ho mai visto così rincretinito per una ragazza. Si può sapere che ti è successo? Hai perso il tuo smalto o questa Elly ha i superpoteri?”
Alex gli mostrò il dito medio prima di andare a prendere una palla dal distributore a bordo pista. Desiderava non aver mai fatto quella scommessa ma, d’altra parte, era stata proprio quella scommessa meschina a dargli la possibilità di conoscere Elly e di innamorarsene. Sapeva che se non avesse rivelato ai suoi compari a che punto era la sua relazione intima con Elly, quelli non gli avrebbero dato pace, e sapeva anche cosa chiedere in cambio della foto che avevano pattuito.
“Ascoltatemi bene, perché non ho intenzione di ripetermi. Io e Eleanor siamo già stati insieme, anche se non ho ancora foto che lo testimonino.” Fulminò tutti con lo sguardò, prima che qualcuno potesse fiatare. “Avrete il vostro schifoso trofeo, e tenetevi pure i soldi – non mi interessano. C’è un’altra cosa che voglio da voi: voglio che teniate il segreto su questa scommessa, Elly non ne deve sapere nulla finché non sarò io a dirglielo.”
Mick rise. “E credi che ti perdonerà dopo che avrà saputo che te la sei portata a letto per mille dollari?”
“Non lo so, ma in ogni caso lei deve saperlo da me.” Non si sarebbe comportato da vigliacco, lei avrebbe dovuto sapere la verità.
“D’accordo” acconsentì Leonard. “Ricordati però che hai solo un’altra settimana per portarci la foto prima che scadano i due mesi, altrimenti sarai costretto a sborsare mille bigliettoni, Romeo.”

La settimana che seguì fu terribile per Alex, dimidiato fra la voglia di confessare tutto alla sua amata e quella di mettere la testa sotto la sabbia, come aveva sempre fatto in ogni situazione, e fingere che tutto andasse bene. Oltre alle sue paturnie, c’erano i suoi amici che incalzavano per ricevere la foto, per vedere se era vero che si fosse portata a letto uno sgorbio come lei – che se ne fosse innamorato poi, era del tutto fuori dai loro limitati orizzonti mentali.
Aveva organizzato una cenetta romantica a casa sua, approfittando del fatto che i suoi fossero fuori per il weekend nel cottage in campagna, e aveva pianificato tutto per riuscire a scattare quella maledettissima foto che lo avrebbe finalmente liberato dall’angoscia. Aveva ordinato il cibo in un ristorante italiano molto raffinato, aveva acceso le candele e comprato i cioccolatini – insomma, aveva creato l’atmosfera ideale per un momento di intimità con la sua ragazza, forse l’ultimo. Era andato a prenderla dopo il turno al fast food, aveva lasciato che usasse il bagno di casa sua per farsi una doccia e togliersi di dosso il tanfo di patatine fritte che le restava addosso dopo la giornata di lavoro, poi l’aveva fatta accomodare nell’ampio salone dov’era il tavolo che aveva apparecchiato personalmente, senza l’aiuto della domestica a cui aveva dato la serata libera. Avevano gustato i piatti deliziosi, bevuto dell’ottimo vino e chiacchierato come sapevano fare loro, ma questo non aveva tranquillizzato Alex che, nonostante facesse di tutto per mostrarsi disinvolto come al solito, appariva turbato e inquieto agli occhi della sua ragazza.
“Sei sicuro di sentirti bene Alex?” chiese Elly. “Non lo so, non mi sembri tu…è da qualche giorno che sei strano.”
“Sto bene, ho solo mal di testa. Forse è meglio che andiamo di là, che ne dici?”
“D’accordo, come vuoi tu. Posso almeno darti una mano a rassettare?”
“Lascia stare, domani se ne occuperà la cameriera.” Si alzò e le tese una mano, affinché lo seguisse nella sua stanza da letto.
Non appena varcarono la soglia della sua camera, le dita della ragazza iniziarono a trafficare con i bottoni della sua camicia, desiderose di toccare la sua pelle nuda, ma lui fu lesto a bloccarle, scuotendo la testa debolmente.
“Non vuoi?”
“Non mi va, non mi sento bene – te l’ho detto. Scusami.”
“Lo sai che il sesso funziona come antidolorifico?”
La battuta lo fece appena sorridere. Il problema era che non riusciva più a lasciarsi andare sapendo di avere la coscienza sporca, lei non se lo meritava. “Credo che prenderò un’aspirina invece, e che mi metterò a letto. Ti va di farmi compagnia?”
“Certo, ma non ho portato il pigiama – non credevo ne avrei avuto bisogno.”
“Posso prestarti una mia maglietta.” Frugò nel macello che regnava sovrano all’interno del suo armadio alla ricerca di una maglietta che non fosse già stata indossata e tirò fuori una vecchia t-shirt con il logo della sua università. Gliela porse e la vide sparire nel bagno, mentre lui stesso si spogliava e indossava qualcosa di più comodo prima di collassare sul letto.
Quando la vide emergere sull’uscio, con addosso solo ciò che lui le aveva prestato, non riuscì a trattenere una risatina che la fece indispettire.
“Che hai da guardare?”
“Niente, sei buffa.” Batté la mano sul materasso libero accanto a sé. “Vieni qui, ho bisogno di te.”
La accolse fra le sue braccia, stringendola con struggimento, come consapevole che quella era l’ultima volta, che presto si sarebbero detti addio, e la tempestò di baci – sulla fronte, sulle palpebre, sulle guance, sulle labbra, sul collo. “Ascoltami un attimo…mi vuoi bene?”
“Ma cosa dici! Certo che ti voglio bene, io ti amo. Credo di avertelo già detto, no?”
“Anch’io ti amo, Eleanor. Ti amo moltissimo. Non te lo dimenticare.”
“Sei sicuro di sentirti bene, Alex? Mi stai facendo preoccupare.”
Alex sospirò. Fra le sue braccia, inebriato dal suo profumo, incantato dal suono della sua voce – era quello l’unico modo per sentirsi bene. Dopo averla rassicurata ancora una volta che andava tutto bene e che era solo un po’ indisposto, la vide finalmente abbandonarsi al sonno fra le sue braccia, con la testa incassata nella sua spalla e le dita intrecciate alle sue – sembrava quasi un angelo, un’apparizione. Non seppe dire per quanto tempo rimase a guardarla incantato, senza voler chiudere gli occhi per paura che potesse sparire e lasciarlo solo con i suoi sensi di colpa. Dopo qualche ora trascorsa fra il sonno e la veglia si risolse ad alzarsi, e andò alla finestra per prendere un po’ d’aria – il suo tormento era insostenibile, doveva liberarsi di quel peso.
Una voce alle sue spalle emise un lamento assonnato. “Alex? Dove stai andando?”
Il giovane si voltò, con gli occhi pieni di lacrime, ma non le rispose, limitandosi a rivolgerle un debole sorriso carico di angoscia.
“Ma stai piangendo.”
“Non è vero, è solo che…”
La ragazza accese la luce dell’abatjour, ormai perfettamente sveglia e lucida. “Avanti, che cos’hai? Torna qui.”
In preda alle lacrime, roso dai morsi della propria coscienza come mai gli era capitato prima di quel momento, Alex confessò tutto – la scommessa, il prezzo pattuito per portarsela a letto, la fotografia che non era riuscito a fare, le domande dei suoi amici impiccioni – ogni cosa di fronte allo sguardo smarrito e via via sempre più arrabbiato di Elly.
“Quindi tu mi hai sempre mentito” disse soltanto, quando lui ebbe finito di parlare. Al contrario di lui, Eleanor non piangeva – era solo profondamente disgustata da ciò che aveva sentito. “Anche quando mi hai detto che mi amavi, prima, mi hai mentito, mi hai preso in giro.”
“No, non ti ho mentito – non su questo. Io ti amo davvero, devi credermi.”
“Come ti aspetti che io possa crederti se la nostra conoscenza, la nostra storia è basata su una bugia, su una stupida scommessa!” Si alzò di scatto dal letto, sfuggendo ai suoi tentativi di tenerla ancora un po’ vicino a sé, prese i vestiti che aveva lasciato sulla sedia e iniziò a vestirsi.
“Che vuoi fare adesso?”
“Me ne vado a casa. Non voglio stare con te un secondo di più, mi fai schifo.”
“Come fai ad andare via, Elly? Sono le quattro del mattino, in giro non c’è nessuno.”
“Prenderò la metro.”
“Aspetta.” Si passò una mano sulla faccia, sospirando. “Lascia almeno che ti accompagni. È pericoloso andarsene in giro a quest’ora.”
Elly detestava ammetterlo, ma aveva ragione lui. Non aveva mai preso la metropolitana a quell’ora della notte, e dubitava fosse una scelta saggia farlo da sola. Attese quindi che anche lui si rivestisse e che prendesse le chiavi della macchina – senza dirgli una parola, senza neanche rivolgergli lo sguardo – poi lo seguì giù per le scale buie.
Solo quando Alex accostò l’auto sotto casa di lei i loro sguardi si incrociarono, e poté leggere negli occhi della sua ragazza tutto il male che le aveva inflitto con quella sua confessione. Le aveva spezzato il cuore, a lei che invece lo aveva salvato e lo aveva reso una persona migliore con il suo amore puro e genuino. Non se lo sarebbe perdonato mai.
“Ascolta Elly, io…”
“Non voglio sentire più nulla da te.” Prese la sua borsetta e uscì in silenzio dall’abitacolo, lasciando sbattere la portiera dietro di sé. Lui la immaginò salire le scale buie del palazzo fino al quinto piano, aprire piano la porta per non svegliare la sua coinquilina e gettarsi sul letto a peso morto. Immaginò le lacrime calde scorrerle lungo le guance e i lineamenti delicati del suo volto irrigidirsi sempre più, fino a trasformarsi in una maschera di odio e di risentimento rivolta a lui.

Alex trascorse i giorni che seguirono come in una bolla. Non mangiava più, non andava più a lavorare né usciva per qualsiasi altro motivo – a stento si alzava dal letto al mattino e si faceva una doccia ogni tanto, giusto per non puzzare come un troll, ma non aveva neanche la forza di farsi la barba. I suoi genitori erano preoccupati per lui e temevano che avesse contratto qualche brutta malattia, così avevano fatto venire a casa il medico di famiglia e anche un’infermiera a fargli un prelievo del sangue per vedere le sue condizioni – ma non c’era cura che potesse guarire il suo cuore spezzato. Aveva anche spento il suo cellulare, non voleva sentire nessuno né tantomeno rispondere a quegli idioti dei suoi amici – erano stati loro a ridurlo in quello stato, tutta colpa loro se ora Elly non voleva più vederlo e lui soffriva come un cane. Tutto ciò che faceva era aspettare che il dolore passasse, o quantomeno si affievolisse, ma questo non accennava a diminuire di una virgola e lui era sempre più disperato.
Undici giorni dopo il suo ritiro dal mondo civilizzato, il suo amico Leonard si presentò a casa. Chiese alla cameriera di poterlo vedere, per capire come stesse, visto che era sparito e non rispondeva al telefono, e lei lo accompagnò malgrado le fosse stato detto chiaramente che il signorino Alex non desiderava essere disturbato per nessun motivo. Quando Leonard entrò nella sua stanza e si rese conto delle condizioni in cui versava il suo amico, comprese che la situazione era più grave di quella che aveva immaginato.
“Su con la vita amico” lo salutò.
“Vaffanculo, Leonard.”
“Vedo che la gentilezza non ti ha abbandonato.” Prese la sedia della scrivania e la spostò accanto al letto per sedersi più vicino. “Allora? Come stai?”
“E non lo vedi come sto? Sto di merda.”
“Immagino che tu abbia parlato con la ragazza del Burger King.”
“È arrivato Sherlock Holmes!”
“E immagino anche che lei non abbia preso bene la faccenda della scommessa.”
“Il tuo intuito è davvero formidabile.” Si mise a sedere un po’ più composto in mezzo alle lenzuola appallottolate. “A proposito, sulla scrivania c’è la vostra vincita. Prenditela e distribuiscila anche agli altri.” Quattro buste da lettera, con il logo dello studio dentistico di suo padre, contenevano ognuna 250 dollari – il prezzo pattuito per aver perso la scommessa. I soldi ora erano l’ultima delle sue preoccupazioni, avrebbero potuto prendersi anche tutti i suoi risparmi.
“Lascia stare la scommessa e pensa piuttosto a rimetterti in piedi.”
“È inutile ormai. Sono stato uno stronzo e non me lo perdonerò mai. Le ho fatto troppo male, lei non se lo meritava.”
Leonard fece una piccola pausa prima di continuare. Vedeva il suo amico soffrire e poteva solo immaginare la profondità dei suoi sentimenti per quella ragazza oggetto delle loro prese in giro, anche se i motivi della sua affezione gli restavano un mistero. “Lo sa che la ami? Glielo hai detto?” chiese senza troppi giri di parole.
La sincerità di Alex fu altrettanto disarmante. “Certo, certo che gliel’ho detto.”
“Beh, allora credo proprio che tu debba fare qualcosa per risolvere la situazione.”
“Non c’è più nulla che possa fare. Anzi, ho fatto anche troppo.”
“Guarda che anche lei sta male – proprio come te.”
Quel piccolo riferimento a Elly, a quanto stesse soffrendo, lo fece trasalire. “E tu che ne sai?”
“L’ho vista.”
“Come? Cosa…”
“Stai tranquillo” lo frenò Leonard. “Non ci ho parlato, né mi sono fatto vedere. Sono stato al Burger King l’altro ieri, con mio cugino Ted. Gli ho chiesto di accompagnarmi perché mi doveva un favore.”
“Come ti è sembrata?”
“Uno straccio, esattamente come sei tu in questo momento. Sembra incredibile ciò che è successo, soprattutto visti quali erano i presupposti, ma voi due vi siete innamorati l’uno dell’altra. Irrimediabilmente.” Si alzò di scatto dalla sedia, risoluto. Toccava a lui prendere in mano la situazione e costringere il suo sconsolato amico a darsi una mossa. “Ora alzati da questo letto, buttati sotto la doccia e fatti la barba – ti do mezz’ora di tempo. Poi torni qui e ti metti qualcosa di decente addosso.”
“Qual è il piano?”
“Indovina un po’? Andare dalla tua bella, se così si può dire.” Lo sguardo al vetriolo che Alex gli rivolse a quel commento poco felice gli fece rimangiare le parole. “Insomma, andiamo da Eleanor – anzi, tu andrai da lei, io non c’entro nulla. Avanti, su le chiappe!”
Alex ebbe bisogno di altri cinque minuti di preghiere da parte del suo amico prima che finalmente si decidesse ad alzarsi dal letto. Come un bravo bambino ubbidiente si fece la doccia, si liberò della peluria incolta che gli era cresciuta sul viso, si impomatò i capelli con il gel, poi scelse degli abiti puliti dall’armadio e li indossò. “Va bene così?”
“Sei proprio un damerino” fece Leonard. “Ora che ne dici di prendere la macchina e guidare fino al drive-in?”
“Non lo so se è una buona idea, Leo…”
“È l’unica cosa giusta da fare adesso, non potrai mai sentirti meglio se continui a stare rintanato qui a rimuginare su ciò che hai combinato.”

Alex attese tutto il giorno nel parcheggio del fast food. Non era neanche certo che Elly fosse di turno, forse aveva cambiato orari per evitare di incontrarlo, ma ora che era lì tanto valeva aspettare – che cosa poi, non lo sapeva neanche lui. Non sapeva che reazione aspettarsi dalla ragazza, che era riuscita nell’inedita impresa di ferirlo nel profondo, come nessuna era stata in grado di fare mai prima, e di ridurlo a un relitto umano. Era mezzanotte e un quarto quando finalmente vide Eleanor uscire dal locale. Indossava il suo spolverino rosso fiammante e le scarpette che avevano comprato insieme in quel negozio a Manhattan, quelle che lui le aveva consigliato. Era la stessa di sempre, e tuttavia nella sua aria stanca per la giornata di lavoro appena conclusa poté leggere un velo di tristezza, o forse era solo la sua immaginazione.
Quando si fu fatta più vicina, Alex accese i fari dell’auto e scese.
“Che ci fai qui?” chiese Elly. “E che ti è successo? Sembra che ti sia passato sopra un tir.” Occhi cerchiati da ombre scure, aria afflitta e stanca, e sembrava che fosse a digiuno da settimane. Malgrado lo strappo fra di loro facesse ancora male, non poteva tollerare a vederlo così.
“Cosa vuoi che ti dica…sono a pezzi da quando la mia ragazza mi ha lasciato.”
Eleanor tacque, le labbra contratte in una linea sottile e severa. Frugò nella borsetta alla ricerca del pacchetto di sigarette.
“Non sapevo che fumassi.”
“Avevo smesso, ma da quando ho lasciato il mio ragazzo ho ricominciato.”
“Il tuo ragazzo dev’essere proprio un bastardo ad averti ridotto così.”
“Lo penso anche io.”
Le prese la sigaretta che aveva fra le labbra, ancora spenta, e la gettò nel cestino dei rifiuti. “Comunque dovresti smettere, ti si rovina lo smalto dei denti.”
“E da quand’è che ti preoccupi della mia salute?”
“Da quando ho scoperto di amarti.”
“Smettila, Alex. Non ti credo più.”
“Devi farlo, perché il mio amore per te è tutto quello che mi resta.” Senza lasciarle il tempo di replicare, le prese il volto con le mani e la baciò, cercando di comunicarle così la genuinità dei suoi sentimenti. Poté percepire la ritrosia di lei sulle proprie labbra, il suo rifiuto di lasciarsi andare, ma fu solo un attimo prima che la sentì rispondere con altrettanta passione alle sue carezze e ai suoi baci.
Aveva provato a convincersi di odiarlo, ma tutti i suoi buoni propositi si stavano sciogliendo come neve al sole. Si strinse a lui più forte che poté, affondando il naso nel colletto della sua camicia per sentirne più intensamente il profumo che tanto le era mancato, nonostante tutto, e lasciò che anche lui l’abbracciasse stretta.
“Mi hai fatto soffrire tanto, lo sai?” gli sussurrò all’orecchio. “Sono stata male in un modo che non immagini – mi sono sentita tradita, e presa in giro.”
“Lo so. E ti chiedo perdono per questo.”
“Non ti permettere mai più di trattarmi così.”
“Non accadrà di nuovo. Tu sei troppo preziosa perché io possa concedermi il lusso di perderti.”


Come vi sarete accorti, si tratta di un racconto senza impegno, ben lontano dal pathos in cui mi piace crogiolarmi di solito. Spero comunque che vi siate divertiti in questa lettura quanto io mi sono divertita a scriverlo!

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