Sul mio seno nudo c’è un intreccio di braccia, mani e dita, le mie e quelle di Max.
I suoi pezzi sono più chiari dei miei, quasi grigiastri – è perché soffre di anemia. Il colorito della sua pelle non mi è mai piaciuto. In effetti, se ci penso bene, ci sono parecchie cose che non mi piacciono di Max. Non mi piacciono alcuni suoi modi di dire quando parla, alcune espressioni che usa con me o con gli altri. Non mi piace come si schiocca le nocche quando è nervoso o imbarazzato – a dirla tutta sono proprio le sue mani che non mi piacciono, e neanche le sue braccia, che sono troppo rachitiche e gli danno un’aria malaticcia. Non mi piace il fatto che sia alto quanto me, ovvero troppo poco per un uomo, e che spesso faccia la parte dell’idiota, perché so che ha un’intelligenza e una sensibilità rare e non si merita di apparire così.
E allora perché ci sono andata a letto, perché ci ho fatto sesso, se non mi piacciono tutte queste cose di lui? Il problema è che mi sento al sicuro solo qui, ora, fra le sue braccia, nel suo profumo, nel suo respiro caldo sul mio collo. Solo con lui mi sento davvero compresa, e libera di dire qualunque cosa mi passi per la testa senza temere di essere giudicata. So che tiene a me in modo sincero e genuino, e che non mi farebbe nulla di male, per questo mi sono lasciata andare così. Ma basta questo confortante senso di sicurezza per dire di essere innamorati? Basta sentirsi a casa per sapere di essere nel posto giusto, con la persona giusta?
“Max?”
Max, steso alle mie spalle, non interrompe ciò che sta facendo. Continua a mordicchiarmi il collo e la spalla facendo un suono strano con la bocca sulla mia pelle, una specie di risucchio tutt’altro che romantico.
“Max?” ripeto, invano. “Maximilian?” Chiamarlo con il nome intero, quello che lui odia tanto, riesce ad attirare la sua attenzione. Detesta il proprio nome e non permette a nessuno di chiamarlo così, a me invece sono sempre piaciuti i nomi lunghi e altisonanti come il suo.
“Cosa c’è?” Mi stringe un po’ più forte contro il suo petto, temendo forse che io voglia alzarmi e lasciarlo lì, da solo.
Io e Max ci conosciamo dai tempi dell’università e avevamo già provato a stare insieme, quattro o cinque anni fa. Avevo appena rotto con Vince, un nostro comune compagno di corsi, e soffrivo come un cane. In Max avevo trovato l’abbraccio che mi serviva per andare avanti e per guarire, le parole giuste per stare meglio, la spalla su cui piangere tutte le mie lacrime. Avevamo iniziato a uscire insieme, ogni tanto, e avremmo potuto iniziare una storia, ma le cose non erano andate oltre. O meglio, io non avevo voluto addentrarmi nel campo minato di una nuova relazione così presto, e mi ero allontanata da lui per evitare di vederlo soffrire. Sono stata stronza e senza cuore, perché avevo capito che le sue intenzioni erano serie e i suoi sentimenti onesti, e per molto tempo ho evitato di incontrarlo nel timore che lui potesse riprendere da dove avevamo interrotto. I pochi momenti in cui ci siamo visti negli anni successivi – qualche evento accademico, feste di amici che avevamo in comune – sono stati carichi di imbarazzo, sia da parte mia che da parte sua.
Ma la vita è strana e talvolta imprevedibile. Mi sono trovata ad affrontare un nuovo periodo di sofferenza e di dolore dopo che sono stata licenziata. Mi sentivo persa, e sola, e chi ho trovato a consolarmi, ad aiutarmi se non di nuovo Max? È successo che ci siamo riavvicinati, che abbiamo ricominciato a frequentarci – anche se con molte remore e con i piedi di piombo: ci avevamo già provato, ne avevamo già abbastanza di sofferenze sentimentali e non volevamo farci male di nuovo. Nelle scorse settimane, ho percepito chiaramente che stavamo viaggiando con il freno a mano tirato, tutti e due, nel timore di fare un azzardo sciocco che avrebbe rovinato la nostra amicizia, stavolta per sempre. Eppure, tutte queste premure non ci hanno impedito di andare più a fondo, di scoprire insieme questo territorio inesplorato – e ora siamo qui, nudi nel letto di casa sua.
“Cosa c’è?” ripete sussurrando al mio orecchio, riportandomi alla realtà.
“Aspetta un momento – voglio dirti una cosa, e intendo essere sincera.” Voglio mettere le cose in chiaro affinché non ci siano fraintendimenti.
Lo sento ridere alle mie spalle. “So già cosa vuoi dirmi. Tu non mi ami.” Semplice, diretto, schietto. Un lato del suo carattere che adoro e che mi spiazza ogni volta.
Mi libera dalla stretta e mi permette di voltarmi verso di lui. Stesi uno di fronte all’altra, con le teste sullo stesso cuscino, non c’è più nulla della febbrile eccitazione che ci aveva avviluppati prima, quando siamo saliti a casa sua. L’atmosfera si è fatta improvvisamente cupa e triste. Max mi accarezza piano la guancia, e io afferro la sua mano e per portarla alle labbra e baciarla. Davvero stiamo avendo questa conversazione? Perché le cose non sono mai facili per me?
“Mi stai usando” continua. “Stai usando la mia debolezza per curare la tua debolezza, di nuovo, ma so già che questa cosa ha i giorni contati.”
“Non è vero che non ti amo, Max – è che non lo so ancora.”
“Andiamo, bimba, di quanti altri anni hai bisogno per capire se provi o no qualcosa per me!? Ci conosciamo da una vita – eravamo ragazzi, ora siamo adulti, e tu ancora non sai se mi ami? Io ti ho amato da subito, dal primo momento in cui ti ho vista, e non ho ancora smesso di farlo.”
“È complicato” provo a obiettare, senza essere troppo convincente.
“È molto semplice, invece. Possiamo uscire insieme, andare al cinema o al ristorante, scopare se ne abbiamo voglia, come abbiamo fatto oggi, ma tutto questo non cambierà le cose – ne sono consapevole. Un giorno ti innamorerai per davvero di qualcuno, sarai presa mente-cuore-viscere da lui, e questa cosa fra di noi finirà.” Non c’è risentimento nelle sue parole, né rabbia nel suo tono di voce. Percepisco piuttosto…rassegnazione.
“Ti voglio bene, Max” dico soltanto. “Te ne voglio davvero tanto, tu non hai idea.”
“Ma amarsi è un’altra cosa” conclude per me. Si abbandona sul materasso a pancia in su, e si mette a fissare il soffitto. La luce rossa del tramonto che entra dalla finestra rende il suo profilo spigoloso ancora più severo. “Cosa siamo allora? Non possiamo essere amici se uno dei due desidera di più, e non possiamo essere amanti se l’altro non ci sta dentro completamente. Avremmo dovuto troncare anni fa, ma io non ce l’ho fatta a dimenticarti.”
Max ha tutte le carte in regola per essere il mio compagno. Ha una laurea, un buon lavoro, una macchina, una casa tutta sua, fa arrampicata, nel tempo libero scrive poesie e ho appena constatato che a letto non se la cava affatto male. Non ha nulla che non va, ma ha ragione – io non lo amo, e forse non lo farò mai. Non è la persona che sto cercando, quella che fa battere forte il cuore e ribollire il sangue nelle vene.
O forse sono io che mi aspetto troppo dalla vita, e dall’amore. Forse basta questo per essere felici, una persona che ti rispetti e ti voglia bene, a cui voler bene a propria volta. Io e lui siamo una bella squadra, ci intendiamo a meraviglia e abbiamo la stessa opinione sulle questioni che contano: non c’è motivo per rifiutare questa relazione che non può che farmi bene – se non altro, può aiutarmi a sedare l’inquietudine che mi tormenta e che mi porto dietro da sempre.
“Non avercela con me, però” sussurro.
Ridacchia. “Non ce l’ho con te. Non ce l’avrò mai con te, come potrei?” Si volta di nuovo a guardarmi, la malinconia sparita dal suo sguardo. “E poi non ho ancora finito di strapazzarti di coccole – vieni qui.” Mi attira nel suo forte abbraccio e inizia a riempirmi di baci, di morsi e di pizzicotti, facendomi ridere senza controllo. Può essere nel baratro più nero, ma riesce sempre a nasconderlo bene e a far sentire meglio chi gli è accanto.
Ecco perché ho bisogno di lui nella mia vita.
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