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“Alfredino, laggiù”: se la ricerca di chi siamo si sposta laggiù (o lassù che sia)

Oggi voglio parlarvi di un libro che ho letto recentemente: Alfredino, laggiù, edito da Feltrinelli. Ho avuto il piacere di incontrare il suo autore, Enrico Ianniello, qualche giorno fa in occasione della presentazione di questo libro che si è tenuta in una scuola superiore. Tutti conosciamo il suo volto e la sua personalità grazie a fiction di successo, e molti hanno letto già anche qualche suo libro, ma io ci tengo a parlare un po’ anche dell’uomo dietro lo scrittore (e l’attore).

Alfredino, laggiù

Chi è nato negli anni ’70, come il protagonista del romanzo e come il suo autore, non può non ricordare la drammatica vicenda che ha sconvolto l’Italia intera nel giugno del 1981. A Vermicino, un bambino di sei anni precipita in un pozzo e, nonostante l’enorme impiego di mezzi ed energie, non ne uscirà più. Questo episodio segnerà per sempre un intero Paese, un’intera generazione di figli e di genitori. Ma il romanzo non vuole essere la storia del piccolo Alfredo Rampi. Alfredino, laggiù è il racconto intimo di un uomo comune, di una discesa agli inferi nel tentativo di salvare il bambino precipitato in fondo al pozzo e allo stesso tempo di trovare la propria salvezza, e capire qualcosa in più dell’adulto che è diventato.

Il piccolo con la canottiera a righe è soltanto una guida per Andrea che, all’età di cinquant’anni, si ritrova a chiedersi se sia diventato effettivamente l’adulto che sognava di essere quando era bambino. Un banale incidente subito dal figlio Marco, lo spavento presto passato, il trasloco nella casa nuova tanto sognata dalla moglie Teresa, il ricordo di quel bambino caduto nel pozzo che non lo abbandona. E, improvvisamente, Andrea viene catapultato in un’altra dimensione – laggiù o lassù che sia –in un posto che ha un qualcosa di familiare ma nel quale non riesce ad orientarsi da solo.

In questo nuovo mondo, concreto ed effimero al tempo stesso, Andrea incontra tanti personaggi, ognuno con la sua storia – frate Giulio, Serena, l’ingegnere, Pieretto, Joseph. Tutti sono accomunati da uno stesso tratto: un sorriso disarmante e innocente, specchio della loro purezza d’animo. Vi avviso già che il finale fa scendere qualche lacrimuccia…e qui mi taccio, sennò faccio spoiler!

L’autore Enrico Ianniello

Enrico Ianniello nasce a Caserta nel 1970. Attore da sempre, da qualche anno si cimenta anche con la scrittura – e con molto successo di pubblico e di critica. Il suo primo romanzo, La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin (2015), ha vinto il Premio Campiello Opera Prima. Oltre a scrivere, Ianniello si cimenta da qualche anno anche con la traduzione letteraria: vivendo e lavorando a Barcellona, conosce perfettamente castigliano e catalano.

Agli studenti che hanno partecipato alla presentazione ha portato, con ironia e sagacia, la sua duplice esperienza di ragazzino e di padre. Ci ha raccontato di quando lui era adolescente, e di come quelli della sua generazione hanno vissuto il dramma di Alfredino. Tutti i televisori del condominio sintonizzati su quella estenuante diretta TV che ha tenuto milioni di italiani incollati allo schermo per due giorni e mezzo, prima del tragico epilogo. Le canzoni che si ascoltavano all’epoca – molte delle quali sono citate anche nel libro. Il terrore che rimbalzava dagli occhi angosciati dei genitori a quelli dei figli, perché Alfredino era figlio di tutte le mamme, e ogni bambino poteva essere quel bambino caduto nel pozzo.

Ci ha parlato anche del ruolo catartico che attribuisce alla scrittura. Ogni libro è un pezzo di lui, un modo per indagare se stesso e mettere nero su bianco una propria parte nascosta, imbarazzante, censurata. Ci ha tenuto a sottolineare che recitazione e scrittura sono due lati dello stesso uomo che fra loro non sono collegati. Non vuole essere considerato come un attore che scrive anche libri, ma come un uomo che apre la sua anima attraverso le pagine scritte.

alfredino laggiù

Cosa ne penso

Da partenopea posso immaginare bene l’atmosfera rilassata e al tempo stesso carica di tensione che si respira nel paese (non ben definito, ma comunque ai piedi del Vesuvio) da cui viene il protagonista. Da una parte la bellezza carica di inconfondibili profumi e sapori, il tepore del sole e il rollio delle onde del mare. Dall’altra la macchia viscida e oleosa rappresentata dalla criminalità organizzata, che tutto inquina e tutto distrugge. Tuttavia ciò che più mi ha colpito nella scrittura di Ianniello è il suo descrivere così bene le situazioni, i personaggi, i moti dell’animo. Poche semplici parole che abbozzano, tratteggiano con la delicatezza di una matita, e lasciano al lettore lo spazio per immaginare la sua storia.

Da (aspirante) scrittrice gli ho chiesto se nella sua scrittura si considerasse un velocista o piuttosto un metodico maniacale – insomma, quale fosse il suo modus operandi di fronte alla tastiera. Mi ha risposto di lasciarsi trasportare dai suoi personaggi, di seguire il flusso dei loro pensieri e di farsi sedurre dalla sua stessa storia. Anche se parte con una sorta di canovaccio, una traccia generale di quella che sarà la trama, dopo un terzo del lavoro si trova di fronte una storia completamente nuova. Con sua somma sorpresa.

Una cosa che ha detto sul suo modo di scrivere mi ha colpito particolarmente. Da lettore e da scrittore, Ianniello non va alla ricerca di grandi trame o di colpi di scena incredibili. L’attenzione si ferma ai piccoli passaggi, alla meticolosa scelta delle parole che possano esprimere al meglio un sottile cambio d’umore, una sfumatura dell’anima, la tragicità di uno sguardo o di un’espressione. Un lavoro da cesellatore, quello di Ianniello, piuttosto che la costruzione di un’imponente basilica. E, secondo me, è proprio questo ciò che rende la sua scrittura così efficace e toccante.

Insomma, libro più che consigliato – soprattutto se amate lasciarvi scuotere dalle parole fino a mettere tutto in discussione…questo romanzo ve ne darà l’opportunità!


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