“L’anno dell’alpaca”: un viaggio incredibile (mentre il mondo era in lockdown)

L’anno dell’alpaca, opera prima di Giammarco Sicuro, è la storia di un viaggio intorno al mondo. Un viaggio già incredibile e avventuroso di per sé ma ancora di più se pensiamo che è stato fatto quando il nostro Paese era in lockdown. È un diario di bordo che racconta un viaggio attraverso tre continenti (Europa, Asia e America) in pagine disposte in maniera cronologicamente incoerente.

L’anno dell’alpaca: una storia, mille storie

Protagonisti, visti e descritti attraverso l’occhio del giornalista, sono una miriade di personaggi. Non tutti completamente buoni né cattivi, e sulla loro condotta morale il signor Sicuro non si sofferma con occhio giudicante. C’è la donna messicana che ogni mese va negli Stati Uniti e dona il proprio plasma per una manciata di dollari, sperando di beccarsi il Covid per guadagnare un po’ in più. Il narcotrafficante in Messico che viene ammazzato poche ore dopo aver concesso un’intervista. Il proprietario di una clinica di chirurgia plastica in Corea che ha visto lievitare i suoi guadagni grazie alla pandemia. Ma anche il povero lustrascarpe boliviano che lavora con il passamontagna per non gettare un’onta di vergogna sui propri cari. Sullo sfondo, in filigrana ma non troppo, c’è la pandemia, con il suo carico di morti, di disoccupazione, di disperazione.

L’idea per questo libro mi è venuta partendo da un input che mi hanno dato gli spettatori – spiega Sicuro. – Mentre il mondo si chiudeva in lockdown a causa della pandemia, io mi trovavo come un vagabondo di fronte ad eventi irripetibili. Per questo ho deciso di raccontare in prima persona il mio viaggio, le persone che ho conosciuto, i luoghi che ho visto.

Il signor Sicuro racconta tutto questo con la curiosità del Wanderer e con la precisione del giornalista. Ad accompagnarlo nel suo viaggio troviamo due “ragazze” molto particolari: Isabela e Esmeralda, due peluche. La presenza dei peluche – di cui una è l’alpaca che dà il titolo al libro – non è altro che un espediente narrativo. Con queste “ragazze” si istaura una sorta di dialogo che utile all’autore per mettere su carta i suoi pensieri, le sue riflessioni.

Un pregio di questo libro, che personalmente ho molto apprezzato, è la presenza di un’appendice fotografica. Come fosse tutto un grande reportage giornalistico, Sicuro non solo descrive i fatti con le parole, ma li immortala con l’obiettivo della macchina fotografica, mostrando a noi lettori i volti dei protagonisti di questa storia.

L’autore Giammarco Sicuro

Giammarco Sicuro è un giornalista RAI dal 2008. All’inizio della sua carriera a Viale Mazzini si è occupato di cronaca nera italiana. Ha seguito, tra le altre cose, inchieste sulla malavita organizzata in Calabria e a Napoli. Molti lo ricorderanno come il narratore, per il TG2, del naufragio della Costa Concordia e del terremoto di Amatrice.

Dopo le esperienze italiane, come ha raccontato lui stesso, ha sentito il bisogno di cambiare aria, cambiare modo e tipo di notizie. Per questo motivo ha scelto di spostarsi nella Redazione Esteri. Quando si è inviati in Italia si finisce a raccontare sempre fatti di cronaca nera, drammatici. All’estero, al contrario, si ha la possibilità di affrontare temi diversi, non per forza tutti “tristi”. Per fare un esempio: in Corea, oltre che del dilagare del contagio da Covid-19, si può parlare anche del K-pop, o di una rassegna cinematografica, o di una specialità culinaria.

Ho avuto il piacere di incontrare il signor Sicuro qualche tempo fa, in occasione della presentazione di questo libro che si è svolta a Napoli. Lì gli ho parlato della mia ancora acerba carriera nel mondo del giornalismo. Insieme all’autografo, sulle prime pagine del libro, il signor Sicuro mi ha lasciato una dedica-augurio per la mia futura professione che mi tengo stretta come un talismano.

Due o tre cose che ho capito sul giornalismo grazie a questo libro

Per essere giornalista devi viaggiare leggero (anche in fatto di relazioni). Lo sto capendo già un po’ adesso, a mie spese, visto che sto sperimentando (a piccole dosi) l’ebrezza dei viaggi stampa. Partner, figli, famiglia, possono essere effettivamente un impedimento alla carriera e alla libertà di movimento e di azione che è necessaria al giornalista, affinché faccia bene il proprio mestiere. Certo, ci sono modi e modi di essere giornalista. Si può lavorare da casa (come faccio io l’80% del mio tempo) o avere la propria scrivania fissa in redazione. Ma essere giornalista sul campo – l’idea che sto accarezzando da un po’ di tempo a questa parte – è tutta un’altra storia. Per potersi spostare liberamente, come emerge da questo libro, bisogna avere uno zaino leggero sulle spalle e il cuore libero.

Essere giornalista sul campo non è (solo) quello che si vede in TV. In altre parole, ciò che viene ripreso dalla telecamera o riportato sulla carta stampata è solo una minima parte di quello che avviene durante un viaggio stampa, che spesso non risparmia situazioni pericolose. Cartelli della droga, morsi di cani potenzialmente affetti dalla rabbia, mercati straripanti di persone senza mascherina in piena pandemia, sono solo alcune delle situazioni raccontate. A noi lettori possono far sorridere ma, certamente chi le ha vissute avrà avuto le sue preoccupazioni.

Quando tiri fuori la telecamera o la macchina fotografica, c’è sempre qualcuno che si insospettisce – continua il giornalista. – C’è un lavoro enorme per tornare a casa vivi! Ma del resto, come disse il grande giornalista Tiziano Terzani, “La storia esiste solo se qualcuno la racconta” ed è questo il senso di quello che io chiamo giornalismo di strada. C’è bisogno di andare personalmente sui luoghi per vederli e raccontarli.

Per essere giornalista devi saper improvvisare. C’è un passaggio nel libro, che il signor Sicuro ha raccontato anche durante la presentazione, che si svolge al suo arrivo a Seul, nel maggio 2020. Una potente esplosione al confine fra le due Coree si è verificata proprio mentre il signor Sicuro era in volo verso il Paese e, appena sceso a terra, la redazione italiana lo ha contattato per sapere quale fosse il clima lì e cosa stesse accadendo…mentre lui era ancora in aeroporto! Il tutto, tra l’altro, mentre la polizia coreana lo invitava caldamente a mollare il cellulare e a riempire moduli che gli avrebbero permesso l’ingresso nel Paese, passando per una durissima quarantena.
Immaginate la tensione di doversi documentare al volo su quello che stava succedendo, di farlo da un aeroporto e con la polizia alle calcagna che ti urla contro in coreano! Tutto questo a due minuti dalla diretta con il TG italiano.


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